Il giudice di Lieto analizza la sentenza (di condanna) e la legittima difesa. Diritto e processo. Come è finita la rapina di Grinzane Cavour

Allegato 1_libro e vita del giudice Vitaliano Esposito

La legittima difesa (articolo 52 c.p.) è una causa di giustificazione (altrimenti detta scriminante o esimente) che, se esiste, rende lecito ciò che sarebbe illecito, quindi elimina il reato. Alla legittima difesa è dedicato l’art. 52 c.p. che ne dà la nozione e ne fissa i limiti. Si tratta di un istituto antichissimo che trova radice nell’istinto di sopravvivenza, rende legittimo l’uso della forza secondo il principio vim vi repellere licet, quanto ai limiti si appella al buonsenso secondo l’altro principio che  l’aggredito non può tenere staderam in manu, che la proporzionalità della reazione deve essere valutata caso per caso. Trattandosi di una causa di giustificazione, che rende non punibile ciò che altrimenti sarebbe reato, le condizioni dettate dall’art. 52 sono rigorose e debbono essere rigorosamente accertate. E qui dottrina e giurisprudenza si sono esercitate in uno sforzo ermeneutico che  ha chiarito dubbi (se ne esistevano) ed offerto una chiave di lettura diventata ius receptum per giurisprudenza costante. Così, per esempio, in materia di attualità del pericolo quando si afferma che la minaccia deve essere concreta, che il rischio di offesa deve essere incombente, cioè attuale,  e che  la risposta di chi si difende deve essere immediata (altrimenti si trasforma in vendetta). Sono questi punti fermi di qualsiasi dibattito: e punti fermi sono rimasti anche dopo l’entrata in vigore della L. 36 del 2019, che ha modificato l’art. 52 cod. penale,  ha introdotto la legittima difesa domiciliare, ha posto per questa e solo per questa, delle presunzioni di legittimità  e proporzionalità  dalle quali si può ricavare il principio che  l’uso di un’arma legalmente detenuta è sempre proporzionato in caso di intrusione violenta, che in questo caso la reazione è sempre legittima, salvo il potere del  giudice di verificare l’attualità del pericolo e la proporzione tra offesa e difesa (che, per essere legittima, non deve mai travalicare i limiti indispensabili per evitare il danno). Altre modifiche sono state pure introdotte nella disciplina non solo dell’art. 52, ma anche dell’art. 55 cod. penale, ma, se qualcuno sperava che valessero ad allargare i termini della legittima difesa, sarà rimasto deluso dalle prime sentenze di legittimità che hanno confermato l’indirizzo  fin qui rigoroso dei giudici di merito, e riducendo la riforma a ben misera cosa.  E qui basta con la premessa. A chi chiedesse il perché e perché così lunga, risponderei che essa dovrebbe servire oltre a chi scrive al lettore paziente che l’avrà letta, a commentare il caso, che le sentenze che lo hanno affrontato e non sembrano meritare il clamore che hanno suscitato. Parlo, naturalmente, di Mario Roggero, il gioielliere di Grinzane Cavour protagonista suo malgrado di questa vicenda.  Il fatto è noto. Risale al 2021. Aprile del 2021, Tre rapinatori, uno apparentemente armato (si trattava di un’arma giocattolo, ma questo si è capito dopo), fanno irruzione nella gioielleria di Mario Roggero, minacciando il titolare, picchiando la moglie, immobilizzando la figlia. Impossessatisi del bottino escono dal negozio e si avviano verso la macchina che attende. Li insegue il titolare del negozio, li raggiunge e spara, con un’arma vera, non un’arma giocattolo, e spara. Ne ammazza due, ferisce il terzo. Rinviato a giudizio per rispondere di omicidio aggravato l’imputato è stato condannato a 17 anni di reclusione dalla Corte di assise di Asti, pena ridotta a quattordici anni e nove mesi dalla Corte di assise di appello di Torino Entrambi i giudici, quello di primo e quello di secondo grado, hanno escluso che nel caso concreto ricorressero gli estremi della legittima difesa. In particolare, hanno escluso che il pericolo non fosse concreto, imminente, attuale, avendo l’imputato sparato per strada ammazzando o ferendo i rapinatori in fuga. E’ questo il punto centrale che ha visto contrapporsi le parti (difesa e accusa) l’una a sostegno della scriminante, l’altra contraria. E’ questo il punto valutato in senso conforme dai giudici di primo grado e dai giudici di appello, che hanno accolto la tesi della accusa, respinto quella della difesa. Ma si tratta di un punto chiaro, reso ancora più chiaro dalla telecamera di sorveglianza che ha ripreso la scena dei tre rapinatori che, compiuto il delitto, escono dall’oreficeria, si danno alla fuga alla vista della persona rapinata che li insegue, li raggiunge, e spara. Ora, che la difesa sostenga a spada tratta la sua tesi, e la faccia valere in qualsiasi stato e grado del giudizio (così, per esempio, dal difensore dell’imputato, che ha preannunciato ricorso per cassazione), questo rientra nei doveri dell’avvocato che non può sottrarsi ai suoi obblighi professionali. Non è così per l’imputato, che può far valere la tesi sostenuta dal difensore, ma cum juicio, senza apprezzamenti e valutazioni che possono sconfinare nell’illecito. Così, per esempio, quando dei giudici che lo hanno condannato Mario Roggero dichiara: “non hanno avuto coraggio “e, Io ho agito per legittima difesa, se il rapinatore non avesse alzato l’arma non avrei sparato”: dichiarazioni che appaiono avventate o distorte. Questo non mi va bene. Soprattutto quando l’imputato accusa i giudici di “non avere avuto coraggio” che vuol dire: “Sono dei vigliacchi, hanno avuto paura” e, peggio ancora, quando si chiede: “io chiedere scusa? Le vere vittime siamo noi. Nessuno dei familiari si è scusato per avere un figlio degenere”. Dove se non c’è cinismo poco ci manca. Il guaio è che non c’è più rispetto: per i giudici, che fanno il loro mestiere, e, quando condannano, gli resta spesso qualcosa dentro (il condannato fa sempre pena, e i giudici sanno bene che la pena, quella che si sconta, non è mai educativa); né ce n’è per i morti, anche e soprattutto se morti ammazzati, e per i morti ammazzati non c’è pietà che basti. Ora, io non pretendo che l’aggredito, vittima della aggressione, reagisca con la stadera in mano per stabilire fin dove si estenda la legittimità della reazione. Mi impone però di essere rigoroso il fatto che ci sia un morto, un morto ammazzato, a maggior ragione se sia stato tu ad ammazzarlo. Il guaio è che oggi la vita non ha più valore, e la morte non ha più prezzo. Non ha più valore perché oggi la vita passa di corsa, travolti come siamo dalle immagini che provengono dai mezzi di informazione dell’era digitale, e non c’è più tempo per pensare alla vita, alla dignità della vita, all’amore, al benessere che dovrebbero accompagnarla.  Non ha più prezzo la morte, se non quello versato dall’assicuratore ai congiunti del morto per un qualsiasi incidente stradale (quale è il prezzo di un morto, si chiede comunemente alla società assicuratrice, come se il prezzo più o meno alto valga a restituirti il morto che non è più vivo). Ma la vicenda di Grinzane Cavour si presta ad altre considerazioni che riguardano diritto e processo, legge e sentenza, giustizia e opinione pubblica. Andiamo per gradi. In questi ultimi tempi si parla sempre più spesso di giustizia “ingiusta”. Ne ha parlato da par suo Vitaliano Esposito 1) nell’ultimo  libro al quale ho dedicato una nota che riproduco in questo volume (vedi retro capitolo sette). Non credo che la sentenza Roggero, pronunciata dalla Corte di Assise di Asti e confermata dalla Corte di assise di appello di Torino, sia un esempio di mala giustizia. La sentenza rende evidente lo sforzo dei magistrati teso a chiarire i termini di fatto della vicenda (ma qui è stata di aiuto la telecamera, anzi le due telecamere che hanno ripreso la scena, prima e dopo la rapina tragicamente conclusa). E qui c’è da chiedersi come avremmo fatto a ricostruire il fatto nei suoi minimi particolari se non ci fossero stati questi nuovi mezzi di prova, che pure hanno suscitato (non in questo caso) polemiche e dissensi non ancora sopiti (più per le intercettazioni che non per le registrazioni da telecamera). Il fatto è che si grida allo scandalo se il processo non si modernizza, ma quando lo si fa, si grida egualmente allo scandalo e si inventano mille eccezioni. Il rilievo non tocca minimamente il caso concreto, nel quale i termini di fatto possono considerarsi definitivamente acquisiti (proprio dalle telecamere, mentre non lo erano in base ad altri elementi di prova, come le prime dichiarazioni dell’imputato che già sopra ho definito avventate e distorte). Quanto alle motivazioni in diritto, non sarò certamente io a valutare se siano viziate e perché. Sarà la Cassazione a pronunciarsi sulle questioni di diritto che rientrano nella sua competenza e a dire l’ultima parola sulla vicenda. Per intanto mi limito ad osservare che il compito del difensore non sarà facile, tanto più apprezzabile proprio perché tale non è. Non sarà facile perché la sentenza di condanna non è fondata in diritto su elementi di novità tali da sconvolgere un panorama di principi ormai consolidati, ma riafferma con forza i limiti invalicabili della legittima difesa. La scriminante insomma non può essere invocata per giustificare atti posti in essere quando la minaccia è ormai cessata. La proporzionalità tra difesa e offesa e l’attualità del pericolo sono requisiti essenziali e non eludibili. Sostenere il contrario varrebbe a giustificare atti di vendetta o ritorsione, secondo una concezione dell’occhio per occhio dente per dente che nessuno vorrà ripristinare. La vicenda ricostruita con tanta accuratezza dai giudici del merito vale infine a dimostrare che anche piccoli particolari come può sembrare il decorso di un breve lasso di tempo tra l’offesa e la difesa possono cambiare la condizione di chi reagisce (da aggredito ad aggressore) e trasformare radicalmente la qualificazione giuridica di un fatto, mutando una potenziale difesa in un’aggressione omicida. Di qui l’importanza che ha avuto in questo processo, e avrà nei processi a venire, la telecamera, soprattutto quando i frame del video siano compiuti, non manomessi, e riprodotti a velocità reale in modo da suscitare sensazioni analoghe a quelle del testimone oculare, con la differenza che, essendo le telecamere più di una, le immagini offerte a chi guarda siano, come nel caso concreto, più compiute  perché riprese da angolazioni diverse. E qui, esaurito questo breve excursus sulla efficacia dei frame e delle telecamere, veniamo alle altre questioni pure introdotte dalle sentenze finora pronunciate. Perché le due sentenze, soprattutto la seconda, quella di appello, hanno suscitato un vespaio, raramente seguito a un processo per omicidio. Si è giunti a ipotizzare un conflitto tra giudice (tenuto ad applicare la legge) e opinione pubblica (che quella legge vorrebbe disapplicare in omaggio all’opinione comune, che, dovendo scegliere, tra rapinatore e omicida, darebbe ragione all’omicida).  Dirò subito che sono dalla parte dei giudici, e cercherò di essere obiettivo, per quanto possa essere obiettivo il giudizio di chi è stato per larga parte di vita uno di loro, e non intende seguire la moda invalsa purtroppo anche tra i magistrati di parlare male della nostra giustizia. Dirò pure che questo commento intende limitarsi all’esame di queste sentenze e di ciò che ne è seguito, non vuole avere una valenza politica, che esula dai miei intenti, forse anche dalle mie competenze. Veniamo in medias res. Conflitto tra diritto e opinione pubblica. Esiste? Di chi la colpa). Sì, esiste, è sempre esistita una contrapposizione tra ciò che è diritto (ius positum), fondamento e  limite della giustizia (applicazione della legge al caso concreto),  e ciò che rappresenta l’opinione comune alla maggioranza dei cittadini, una aspirazione collettiva a una legge diversa, ritenuta più equa e attuale, una ambizione de iure condendo di là da venire. Non vi è dubbio che l’opinione pubblica sia oggi plasmata dai mezzi di comunicazione di massa e dalle forze politiche dominanti in un dato momento in un determinato paese: Sì che non può neppure dirsi che vi sia rappresentata la maggioranza dei cittadini, o una parte cospicua degli elettori. Nel momento attuale l’opinione pubblica è quella che ci propina la televisione, che ci propinano gli altri mezzi di comunicazione (i social, i network e simili). Basta guardare un notiziario TV, per accorgersi che è addomesticato, persino nella scelta degli eventi, persino nelle immagini che corredano tutti i servizi. Peggio ancora: se ti capita di vedere un talk show, dove è imbastito un processo parallelo a quello vero, ed ha una soluzione fondata sulla pregiudiziale che ti offre lo show e chi lo cura. Io mi chiedo: che valore ha, in questo scenario, la presenza dei congiunti dell’imputato, o dell’imputato che dice: “non hanno avuto coraggio. Ho agito per legittima difesa.  Siamo noi le vittime. Nessuno è venuto a chiederci scusa”. E’ l’imputato che parla o è l’attore che calca la scena? Certo, un valore ce l’ha, se quello che dice Mario Roggero viene sentito da milioni di utenti, e milioni di utenti possono quanto meno dubitare che i giudici non abbiano avuto coraggio, il coraggio necessario per assolvere quando hanno condannato. E’ questa l’opinione pubblica alla quale aderisce anche il politico che esprime solidarietà chiedendosi “come si può condannare al carcere chi si è difeso dall’assalto dei criminali?”. Fa parte anche Matteo Salvini di quella opinione pubblica, o contribuisce a formarla quando si professa “determinato a rendere ancora più chiara la legge perché garantisca la legittima difesa alle persone per bene”, quasi che la legge attuale non sia fin troppo chiara, e occorra chiarirla con l’ausilio di un interprete che muti il senso delle parole: da “concreto” ad “astratto”,   da “proporzionata” ad “anche non sia proporzionata”. O, per facilitargli il compito, metta un frego di penna e cancelli l’art. 52. E’ questo che si vuole? Basta. Non finirò mai di dire che questa vicenda come le altre vicende serie di questo paese, finiscono in, e obbediscono alle leggi dello spettacolo. Invece che offrire temi di riflessione per i problemi che vi stanno sotto, la violenza, il diritto, il processo, la giustizia, il delitto, la criminalità minorile (uno dei rapinatori, quello che è rimasto ferito, era un minorenne) tutto viene ridotto a spettacolo, i protagonisti diventano attori, Mario Roggero diventa un eroe. Se qualcuno osa dire il contrario, guai a lui. Domani sarà  condannato. Anzi no. E già stato condannato. Dalla pubblica opinione, che è quella rappresentata in questa vicenda da Mario Roggero e da chi sta dalla sua parte. Ho finito.
Michele Di Lieto*

*Scrittore, giudice in pensione

Allegato 1_libro e vita del giudice Vitaliano Esposito

Allegato 2_Di Lieto scrive sul Libro Esposito

 

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