“La casa sul poggio”, l’ultimo romanzo di Michele Di Lieto

Sta per uscire coi tipi de L’Argolibro, la giovane casa editrice già diventata punto di riferimento culturale ad Agropoli e altrove, “La casa sul poggio”, l’ultimo romanzo di Michele Di Lieto. Già magistrato, negli ultimi tempi scrittore a tempo pieno, Michele Di Lieto ha pubblicato più volumi, tutti (o quasi) a sfondo autobiografico. “La casa sul poggio” sembra per alcuni versi divergere dai moduli consueti ed avere orizzonti più ampi. Pubblichiamo qui l’intervista che l’Autore ci ha concesso subito dopo il “si stampi”.

“La casa sul poggio”: esiste veramente la casa sul poggio che dà il titolo al libro?

<< La casa sul poggio non esiste, esiste solo in copertina. Ma è una delle tante disseminate nelle nostre campagne, abbandonate, ridotte ormai a rifugio di innamorati, di rom o di drogati. Ma la casa sul poggio è molto più che la casa in copertina, è il motivo ispiratore del libro. Nel vedere quelle case, spesso risalenti nel tempo, nel vedere quei muri cadenti, ruderi e avanzi di chiese e conventi, mi sono spesso chiesto quanta storia, quante storie quelle case potrebbero raccontare, e perché quella storia, perché quelle storie non le racconto io. Con un pizzico di fantasia.  Così è nato il libro, così è nata l’ultima fatica>>.

“La casa sul poggio”: dove è ambientata la storia, dove le storie che vi sono raccontate?

<<La storia è quella di Napoli e del mezzogiorno: la città e la campagna attraverso i secoli. Le storie sono ambientate in un paesino del Cilento, Spinazze, ma il nome è inventato, come sono reinventati e rivissuti nel gioco della fantasia i luoghi reali citati nel libro. Più che di luoghi reali parlerei di luoghi dell’anima. Nel Cilento ho vissuto gran parte di vita. Non a caso il libro reca un sottotitolo: Storia e storie del Cilento, che non ha solo un valore esplicativo, ma è una sorta di omaggio, una specie di dedica alla terra adottiva>>.

“La casa sul poggio”: in che diverge, in che si accosta ai libri che lo hanno preceduto.

<<Il discorso sarebbe lungo, ma io cercherò di non abusare della pazienza del lettore. Dirò che La casa sul poggio si accosta molto più che non diverga dai libri di prima. Come i libri di prima, questo romanzo è una miscela di storia vera e di storia falsa, di personaggi reali e di personaggi inventati. Storia vera è quella che riflette la peste del seicento, la carestia del settecento, il colera dell’ottocento, il terremoto del secolo scorso. Storia inventata è la storia della famiglia Ognissanti, che attraversa i secoli dal seicento ai giorni nostri. Come i libri di prima, La casa sul poggio è un romanzo autobiografico, se per romanzo autobiografico si intende anche quello fondato sulle esperienze, sui ricordi di chi scrive. Gli esempi potrebbero essere infiniti. A partire dalla casa sul poggio alla morte di  Coppi. A parte che nel romanzo c’è qualche figura, e non parlo di figure secondarie, che mi somiglia. Quanto meno, io avrei voluto mi somigliasse. Non dirò chi è.  Lascio al lettore il compito di scoprirlo>>.

“La casa sul poggio”: storia vera e storia falsa. Può parlarsi di romanzo storico?

<< Romanzo storico è quello che fa rivivere usi, costumi, clima e atmosfere proprie di una determinata epoca storica. Ne “La casa sul poggio” ve ne sono quattro di queste storie, quante sono le parti del libro. Ma sono tutte tenute da un filo: la storia di una casa, la storia di una famiglia. Se tutto questo possa essere classificato come romanzo storico non sta a me dirlo. Quel che posso dire è che io non avevo in mente nessun tipo di romanzo, nessuna categoria. Avevo solo un progetto di scrittura. Il romanzo, il libro qual è, è venuto mano a mano che scrivevo. E io ho scritto solo per il piacere di scrivere, assecondando una passione che, da quando non faccio più il magistrato, è vissuta con intensità non minore della prima>>.

“La casa sul poggio”: quanto c’è di autobiografia?

<< Ne ho accennato prima. Occorre che mi spieghi. Quando io parlo di autobiografia, di romanzo autobiografico, ne parlo, evidentemente, in un senso diverso dal racconto, vero o falso, della vita di se stessi. Intendo per autobiografia tutto ciò che si lega ad esperienze e a ricordi di chi scrive. Ho già fatto qualche esempio. Posso farne qualcun altro. Il barbiere con licenza di menar sanguette, o la malattia di Isabella Vanacore vedova del Mastro, o la battaglia elettorale di Amalia Formigli, o il naufragio dell’Andrea Doria, che trovano tutti radice in ricordi propri di chi scrive. Il fatto è che non esiste in narrativa inventiva allo stato puro: qualsiasi testo di narrativa, romanzo, racconto o novella che sia, si collega ad esperienze proprie di chi scrive>>.

“La casa sul poggio”: qualche parola sullo stile.

<< Direi che è uno stile maturo, più maturo che prima. Non è più quello de Il Pretore soppresso, dominato da una paratassi ossessiva. Ma c’è sempre qualcosa che gli somiglia. Ne La casa sul poggio c’è un alternarsi di periodo breve e di periodo lungo, di coordinate e subordinate, che rende lo stile più vario e nello stesso tempo più omogeneo. Almeno così la penso io. Ma, poiché restano tracce evidenti dello stile di prima, non mi meraviglierei se qualcuno la pensasse diversamente>>.

“La casa sul poggio”: la peste, la carestia, il colera, il terremoto, tutti eventi negativi: la stessa casa sul poggio fa una brutta fine. Perché tanto pessimismo?

<< Ricordo, per la presentazione di un altro mio libro, mi fu fatta la stessa domanda. Vuol dire che la mia visione della vita non è cambiata. Il pessimismo fa parte di me. Ma come si fa a non essere pessimisti nel vedere un paese a brandelli: dove i padri ammazzano i figli, i figli ammazzano i padri, dove i giovani sono senza lavoro e i vecchi sono mal retribuiti, dove è in voga la mania del sabato sera che trasforma la notte in giorno e viceversa. Come si fa a non essere pessimisti se, di fronte a Parigi sconvolta, tutti si apprestano alla guerra, la terza guerra mondiale, quasi che le guerre avessero mai risolto i problemi dell’umanità, e tra i problemi dell’umanità ci metto anzitutto quelli che derivano dalle differenti condizioni sociali, dall’eterna divisione tra ricchi e poveri, dalle legittime aspirazioni di miliardi di uomini a un avvenire migliore, prima ancora che da fanatismi religiosi. E come si fa a non essere pessimisti se l’etica è diventata poco più che un nome, la politica è ridotta qual è, e si vive la vita giorno per giorno, pronti a cambiar casacca secondo il vento spira, Franza o Spagna purché si magna e oggi, con la crisi che c’è, non si magna neppure. Ma il mio pessimismo nasce anche da una visione di fondo: che il mondo è intriso di ingiustizia, che non esiste giustizia per i poveri cristi. Un poeta a me assai caro, e non è più tra i vivi, avrebbe detto che la nostra condizione/è l’olio per la croce come un grido/che si nutre di ingiustizia. Non sono il solo ad essere pessimista. Il pessimismo (forse) è questione di famiglia (n.d.r.: il poeta citato è Giannino di Lieto, fratello dello scrittore)>>.

“La casa sul poggio”: anche questo libro si caratterizza (almeno così sembra) per l’assenza del dialogo. Può un romanzo reggere senza dialogo?

<< Penso di sì. Intanto, non è esatto che ne La casa sul poggio manchi il dialogo, manchi il discorso diretto. Quello che manca sono le virgolette, il punto a capo. Ma il dialogo c’è, anche se non virgolettato. Ho detto poi, nella avvertenza iniziale, che La casa sul poggio è, vuol essere, un libro metà saggio metà romanzo, e, per quanto ne sappia, non esiste saggio nella forma dialogata. Per quanto riguarda la parte romanzata, il dialogo esiste, anche se in forma ridotta. Ma questo del dialogo a me pare un falso problema. Ciascuno deve essere lasciato libero di scrivere come sa. Il risultato, l’effetto che fa, non dipende dalla presenza, o dall’assenza del dialogo, dalla presenza o dall’assenza del discorso diretto. Dipende, tanto per dire, anche dal modo di costruire un periodo, di usare un verbo, di alternare una frase, di ribadire un concetto. Penso che quello del dialogo sia proprio l’ultimo problema che si ponga chi scrive>>.

“La casa sul poggio”: e’ il suo sesto libro. Un libro ogni tre anni. Ci mette veramente tanto per scrivere un libro?

<< No. Perché io scrivo a fasi alterne. Scrivo quando il vento spira. Salvo a modificare, integrare, correggere, ponendomi anche dalla parte di chi legge. Così, quest’ultimo libro, iniziato tre anni fa, concluso un anno dopo, è stato riveduto e corretto più volte, sino a diventare un libro molto diverso da quello di prima. E non si creda che questo non costi fatica. Voglio qui ripetere quel che diceva Calvino: che la riuscita di un testo sta nella felicità della espressione verbale, che in qualche caso può realizzarsi per folgorazione improvvisa, ma di regola esige una paziente ricerca della parola giusta, della frase corretta, dell’accostamento di suoni e concetti più degno di significato.  Non so se dicesse proprio così, ma il senso era quello, e cito a memoria>>.

“La casa sul poggio”: progetti per il futuro?

<<Quando ho presentato il mio ultimo libro, Memorie, con la bella prefazione di Vitaliano Esposito, pensavo che quel libro non avrebbe avuto un seguito. In genere, un libro di Memorie conclude la vita di un uomo, anche se scrive.  Invece no. Mi sbagliavo. Perché la mania di scrivere è dura a morire. Così è nato il mio ultimo libro. Dico: ultimo, ma non ne sono sicuro>>.L’intervista è finita>>.

A Michele Di Lieto il più cordiale “in bocca al lupo”per l’ultima fatica.

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