La casa sul poggio. Interviene nel dibattito Michele Di Lieto – Parte prima

De La casa sul poggio, l’ultimo romanzo di Michele Di Lieto, già magistrato oggi scrittore a tempo pieno, ci siamo già occupati pubblicando commenti e recensioni più o meno ampie, ma sempre acute. Ne hanno parlato: Fernando Iuliano, Italia Sangiovanni, Anna Milite, Germano Bonora, Domenico Amatucci, Milena Esposito, Franco Miglino, Iole Chiagano. Hanno espresso apprezzamenti Luigi Fontanella e Ugo Piscopo.Abbiamo chiesto all’autore, e l’autore ha accettato, di intervenire nel dibattito in corso. Pubblichiamo qui il primo suo commento esplicativo.

Gli articoli, le note, le recensioni fin troppo benevole dedicate a La casa sul poggio, l’ultimo mio libro, mi incoraggiano a intervenire in un dibattito che sembra coinvolgere non solo gli addetti ai lavori. Per spiegare, commentare, chiarire e dire anche la mia. Intendiamoci: qualsiasi libro, qualsiasi prodotto di narrativa, una volta dato alle stampe, vive di propria vita, sfugge ai poteri di chi scrive. Il che, a ben guardare, capita a qualsiasi scritto. Dai graffiti dell’età della pietra alla poesia ermetica, dalle Tavole di Mosè alla legge odierna. Anche la legge, una volta varata, vive di propria vita, sfugge ai poteri di chi l’ha scritta. Ma come la legge deve essere interpretata, così il testo di narrativa. E come nell’interpretazione della legge ci si può avvalere della intenzione di chi l’ha scritta, così nella interpretazione di un testo ci si può avvalere della parola di chi lo ha concepito.

Né si creda che questo sia un intervento anomalo o inusuale. Anche grandi scrittori sentono (o hanno sentito) il bisogno di rivedere, correggere, ampliare i loro scritti: il che avviene immancabilmente nella seconda edizione o nelle successive. E tutti gli scrittori, grandi e piccoli, sentono (o hanno sentito) il bisogno di presentare, di dire la loro sui loro scritti, nel grande talk show o nel circolo di periferia. Il che obbedisce non solo ad esigenze pubblicitarie in un mondo che tutto mercifica, ma anche alla necessità che l’Autore sente di creare un rapporto col lettore, quale che sia. Nessuna meraviglia, dunque, se ho deciso di intervenire nel dibattito in corso, e dire anche la mia.

Parto dalla premessa. Nella Avvertenza iniziale c’è tutto, tutto quel che deve sapere chi si accinge a leggere il libro. Intanto, la natura del libro. Vien detto, nella Avvertenza iniziale, che La casa sul poggio è un libro metà saggio, metà romanzo, dove la storia vera tende a fondersi con la storia falsa. Volutamente ho evitato il termine: “romanzo storico” al quale pure si è pensato, legando il libro a un genere tornato di moda negli ultimi tempi, se si pensi che due premi Strega, nel 2003 e nel 2010, sono andati a due romanzi “storici”, Vita di Melania Mazzucco e Canale Mussolini di Antonio Pennacchi. Certo, anche il mio libro tende a fondere storia vera e storia falsa, storia accaduta e storia inventata: ma in una maniera, e con uno stile che non sono propri del romanzo “storico”. Nel romanzo “storico” una è la storia inventata inserita in un periodo storico dato: il seicento, il settecento, e così via. Nel mio libro, invece, quattro sono le storie, vanno dal seicento fin quasi ai giorni nostri, anche se tutte e quattro sono tenute insieme da un filo, la storia di una casa, la storia di una famiglia. Nel romanzo “storico” i fatti narrati, più o meno documentati, sono lontani nel tempo da chi scrive. Nel mio libro, invece, i fatti narrati giungono fin quasi ai tempi nostri, agli ultimi anni del secolo scorso. Nel romanzo “storico” classico, la storia inventata è pienamente integrata nel periodo storico al quale si ispira: il seicento, il settecento, e così via. Nel mio libro, invece, la storia falsa, la storia inventata, è trattata in maniera autonoma, e in maniera autonoma è trattata la storia vera, come se invece di un romanzo si trattasse di un libro di storia. Faccio qualche esempio. Ne La chimera di Sebastiano Vassalli la storia della ragazza strega che viene portata sul rogo è un tutt’uno con la storia del seicento che la ispira. Ne La lunga vita di Marianna Ucria di Dacia Maraini la storia della nobildonna siciliana che non parla è un tutt’uno con la storia del settecento che la ispira. Ne La casa sul poggio, invece, e sempre per restare all’esempio, la storia dei contadini del primo ottocento, le migrazioni di fine ottocento, la storia degli anarchici del New Jersey vengono raccontate in maniera autonoma, occupano uno o più capitoli, e costituiscono la premessa logica delle storie frutto di fantasia.

E qui forse traspare un intento vagamente didattico o divulgativo. La casa sul poggio, almeno queste erano le mie intenzioni, mira ad esplorare aspetti della storia del meridione, aspetti della nostra storia, editi o inediti, che non debbono cadere nell’oblio. La vita dei contadini dell’ottocento, e non solo dell’ottocento, le vessazioni e le angherie cui erano sottoposti, le ingiustizie e le soperchierie descritte nel libro, erano ancora vive nel ricordo non solo dei vecchi, ma anche dei giovani, quando sono venuto qui nel Cilento.  Le migrazioni di fine ottocento, o degli inizi del novecento, o del secondo dopoguerra, coi poveri contadini vestiti di stracci e la valigia di cartone, hanno toccato tutti noi, non solo nel Cilento, ma in tutto il meridione. La storia degli anarchici del New  Jersey, Gaetano Bresci e l’assassinio di Umberto I° , hanno segnato la vita di un’epoca e non solo a Paterson, negli Stati Uniti. Per questo io ho trattato in maniera autonoma di questi temi, in modo da attrarre anche un popolo di lettori che non fosse composto di patiti di romanzi e storie inventate, ma anche gli appassionati di storia vera, di storie realmente accadute. Anche se il mio libro è fatto, per questa parte, con la consapevolezza di chi non è storico di professione, e anche se questa parte, più propriamente storica, costituisce pur sempre la premessa della parte narrativa, alla quale tengo di più. Per questo, nella Avvertenza iniziale, ho sentito il dovere di scusarmi se la storia vera, talvolta ma non sempre, è piegata alle esigenze della storia falsa; di scusarmi se la storia vera, talvolta, ma non sempre, è liberamente ricostruita.

Il mio libro, insomma, non è un trattato di storia. Così come non è un trattato di diritto. Perché la parte narrativa, il romanzo vero e proprio, è fatto anche di diritto e processo. Non poteva essere diversamente perché io sono stato e resto un magistrato, e anche perché non c’è romanzo, non penso solo ai gialli, che non affronti, direttamente o indirettamente, esperienze di vita giudiziaria. Solo che, anche per questa parte, non c’è una ricostruzione corretta, attenta anche ai particolari. Mi sono preso insomma qualche licenza. Faccio un esempio. Il giuramento che conclude il processo contro don Basilio nella terza parte del libro. E’ un giuramento cosiddetto suppletorio. Gli operatori del diritto sanno che il giuramento suppletorio viene (e veniva) ammesso nel caso di semiplena probatio. Viene (e veniva) ammesso quando la domanda non sia pienamente provata, ma neppure sia sfornita del tutto di prova. Nel mio caso, la prova fornita da Carlo Ognissanti si riduceva alla deposizione del fratello dell’attore: una deposizione proveniente da uno stretto congiunto della parte, una deposizione che per ciò stesso poteva essere interessata, ma poteva essere interessata anche per altri motivi, una deposizione che comunque era stata allegata a sospetto dal difensore di don Basilio. C’erano insomma mille motivi per dubitare della attendibilità del teste, anche e solo al fine di giudicare la domanda non pienamente provata, ma neppure totalmente sfornita di prova. Ne La casa sul poggio il giuramento viene ammesso. Dal giudice che io definisco “coraggioso”. Ma io stesso come giudice avrei avuto qualche esitazione. Solo che, trattandosi di un’opera di narrativa, io non mi sono neppure posto il problema. Ammettere il giuramento significava, in quel caso, dar ragione al “povero cristo”. E così volevo, come narratore, concludere la terza parte del libro. In questo senso, e solo in questo senso, ho sentito il dovere di scusarmi se talvolta, non sempre, ho piegato il diritto al disegno narrativo.

Romanzo, dunque, La casa sul poggio, metà saggio metà romanzo, romanzo che a mio avviso  si differenzia dal romanzo storico vero e proprio anche perché diversa è la prospettiva. Nel romanzo storico l’autore si limita ad evocare fatti del passato, confronti e analogie col presente sono assai sfumate. Resto agli esempi di prima. Ne La chimera di Sebastiano Vassalli, la vicenda della ragazza strega condannata al rogo può suscitare curiosità, raccapriccio, persino orrore, ma non suscita confronti col tempo d’oggi perché oggi, per fortuna, non c’è più l’Inquisizione. Nel romanzo di Dacia Maraini, la vicenda della ragazza stuprata costretta a sposare l’uomo che l’ha stuprata neppure suscita confronti col mondo d’oggi perché oggi, per fortuna, non c’è più matrimonio riparatore. Nel mio libro, invece, è il mondo d’oggi ad essere guardato con gli occhi del passato. Se la mia attenzione, che è quella di tanti, non fosse stata attratta dai tanti naufragi nel mar di Sicilia, non avrei parlato nella prima parte del naufragio de La porta celeste, che porta i protagonisti sulle coste del Cilento. Se la mia attenzione, che è quella di tanti, non fosse stata attratta dalle migliaia di migranti in fuga dalla loro terra, non avrei dedicato tanto spazio ai migranti dell’ottocento. E se la mia attenzione, che è quella di tanti, non fosse stata attratta dagli scandali che coinvolgono migliaia di risparmiatori, neppure avrei parlato così a lungo, e non solo nella prima parte, del potere dei Banchi, dal Banco di Sant’Eligio alla Cassa rurale di periferia.

Di qui l’aspetto che io considero essenziale nel libro. L’aspetto che ne fa, o ne vorrebbe fare, un romanzo denuncia. Denuncia di vizi occulti, di mali nascosti, che esistono oggi e sono sempre esistiti. Il mondo di oggi con gli occhi rivolti al passato, non il mondo di ieri visitato a scopo evocativo.

MICHELE DI LIETO (continua)

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