Strage a Brandizzo (TO) Cinque morti e due feriti.
Facevano parte di una squadra addetta a lavori di manutenzione della linea ferroviaria che da Milano porta a Torino. Sono stati investiti da un treno di servizio senza passeggeri che trasportava vagoni ferroviari da una stazione all’altra e che sul luogo dell’incidente procedeva a una velocità di 100 chilometri orari.
L’incidente si è verificato nei pressi della stazione di Brandizzo, comune della cintura torinese, poco prima di mezzanotte del 30 agosto u.s. E’ stata avviata dall’autorità giudiziaria una indagine per disastro colposo e omicidio plurimo egualmente colposo. Una delle ipotesi avanzate sulle cause della tragedia parla di errore o mancanza di comunicazione tra la società (rfs) che gestisce la manutenzione delle linee ferroviarie e la società (sigifer) che aveva ottenuto l’appalto.
La ipotesi è avvalorata dal fatto che né i macchinisti, né gli operai al lavoro sembrano essere stati avvertiti del passaggio del treno: in ogni caso, l’indagine è appena partita, occorre attenderne gli sviluppi. E’ l’ennesima volta che sono costretto a occuparmi di infortuni sul lavoro. Questo perché i miei libri per così dire “politici” si occupano sollecitamente di persone e fatti che si verificano (periodicamente se non ogni giorno) nel nostro paese. Il che mi consente non solo di registrare, ma pure di controllare gli eventi per stabilire che cosa è avvenuto nei tempi intermedi tra l’uno e l’altro. Rispondo subito: niente. Ho notato, attraverso i media, che la strage di Brandizzo è stata paragonata, forse perché si sono verificate entrambe a Torino, alla strage della Thyssenkrupp, sette morti arsi vivi, che destò eguale scalpore.
Anche a me è tornata in mente la strage della Thyssenkrupp (gruppo industriale tedesco specializzato nella produzione di ferro e acciaio), non foss’altro perché per la prima volta veniva contestata (ma solo all’amministratore delegato) e accolta (ma solo dal giudice di primo grado) l’ipotesi di omicidio volontario sotto il profilo del dolo eventuale, oggetto della mia tesi di laurea. Ma il rogo di Torino risale al 2007, sedici anni fa, il processo penale è durato nove anni, e non mi risulta che sia stato elaborato un piano per contenere almeno il numero (attorno a mille all’anno) degli infortuni mortali, per quelle che vengono comunemente definite morti bianche ed io continuo a chiamare rosse dal sangue degli innocenti.
Non sono mancate espressioni di cordoglio. Hanno parlato: il Governatore della Regione, il Sindaco di Torino, il Sindaco di Brandizzo, la Cgil ha proclamato quattro ore di sciopero (del quale non riesco a capire il collegamento), ha inviato un messaggio il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ha preferito recarsi a Caivano (dove è stato consumato uno stupro di gruppo), illudendosi forse di poter combattere la mafia (che vi sembra coinvolta) con una visita organizzata fin nei minimi particolari e che, se non è stata un flop poco ci manca.
Non è mancato il Presidente Mattarella che, variando leggermente il percorso di viaggio che lo teneva occupato proprio in Piemonte, si è recato sul luogo del disastro, ha espresso il cordoglio della Nazione ai familiari delle vittime e ha parlato degli infortuni sul lavoro come di un “oltraggio” ai valori della convivenza. Non è la prima volta che Sergio Mattarella si occupi del tema, talora ponendo l’accento sulla “dignità” del lavoro, che vuol dire anche azzerare gli infortuni mortali “che feriscono la società e la coscienza di ciascuno di noi”; talaltra parlando del fenomeno come di una “ferita sociale lacerante”; talaltra ancora ricordando che la sicurezza sul lavoro è “banco di prova della civiltà di un paese”.
Belle parole, belle parole che, quando non siano seguite da fatti concreti, restano tali. Né può farsene colpa al Presidente della Repubblica: che, in questa come in altre materie, non può oltrepassare i limiti della moral suasion, né arrogarsi poteri riservati ad altri organi costituzionali. Il guaio è che ad ogni verificarsi di gravi incidenti sul lavoro, si accompagnano manifestazioni di cordoglio, promesse, assicurazioni destinate a rimanere lettera morta. Intanto gli infortuni non calano. E una media di tre morti al giorno non appare più tollerabile. Sostengono alcuni che il processo penale, per la sua lentezza, blocca qualsiasi iniziativa. E non è vero perché il processo penale non può né deve sospendere iniziative degli altri poteri dello Stato.
Sostengono altri che occorrono norme diverse, pene più gravi. E neppure questo è vero perché le norme esistono, e le pene sono adeguate. Tutto sta ad applicarle. E, per applicarle, occorre prevenzione, occorrono controlli. Controlli che debbono essere affidati a gente esperta, non eccessivamente severa, ma preparata nello specifico ramo che gli viene assegnato. Per questo, occorrono fondi, e fondi per i controlli non ce ne sono, anche se ci sono per altri scopi meno nobili (la guerra, ad esempio, le armi, sempre più sofisticate, che chiede l’Ucraina).
A proposito, che fine ha fatto la promessa di Mario Draghi, duemila ispettori da destinare alla sicurezza sul posto di lavoro? Se ne è assegnata almeno una parte, o la promessa è rimasta nel cassetto? E il governo attuale, tutto impegnato a risolvere il problema degli immigrati, avrà la volontà di affrontare anche il problema del lavoro? Speriamo proprio di sì, perché il problema del quale ci siamo occupati interessa la vita delle persone e chiunque, a qualunque religione appartenga, dovrebbe essere fiero di mettere una pietra, anche una pietruzza, per affrontarlo e risolverlo. Ricordando sempre che si lavora per vivere, non per morire.
Non so chi abbia pronunciato per primo queste parole, ma sono parole che nascono dal profondo della coscienza di ognuno, e servono a me per finire.
Michele Di Lieto*
*Scrittore e magistrato in pensione