La guerra per autodifesa sia davvero l’unico caso di guerra “giusta”? Ma cosa fa la giustizia internazionale? Quando non voglia entrare nel merito, sa usare i pannicelli caldi.
di Michele Di Lieto*
Guerra, ancora guerra, guerra giusta e guerra ingiusta. Parlo, naturalmente, della guerra israelo-palestinese. Me n’ero già occupato agli inizi del conflitto, ed ero stato buon profeta, anche se di sciagure (la guerra è sempre una sciagura).
Prevedevo allora, e la previsione si è avverata, che, rimanendo le parti, Hamas da un lato Israele dall’altro, sulle loro posizioni, annientare l’un popolo l’altro, il conflitto si sarebbe allargato (al Libano prima) con la possibilità di sfociare nella terza guerra mondiale. Pericolo tutt’altro che svanito: che anzi le cose si sono nettamente aggravate.
Il conflitto, come è noto, pur avendo origini più antiche, è insorto per via dell’attacco del 7 ottobre 2023, quando Hamas, l’organizzazione militare pro Palestina, ha forato il sistema difensivo israeliano, provocando vittime, danni e civili presi in ostaggio. Ha reagito Israele, dando inizio alla guerra di Gaza, la città più popolosa della striscia occupata dai palestinesi di Hamas, e invocando il diritto israeliano alla legittima difesa. Ma fin da allora è parso evidente che, quand’anche esistessero le condizioni che legittimano il ricorso alla legittima difesa, la reazione israeliana sarebbe del tutto sproporzionata. Se tu agisci e mi fai un danno di cento, io non potrò reagire facendone uno di cento al quadrato. Nel caso contrario verrebbe meno la ragione stessa della legittima difesa, qualunque essa sia. A maggior ragione se si ritiene, come molti ritengono, che la guerra per autodifesa sia l’unico caso di guerra “giusta”, e che il fondamento della legittima difesa è tutto equitativo.
Se ne sarà accorto anche Israele, e per Israele il suo capo, Netanyahu, che ha tentato di giustificare la guerra a Gaza con l’esigenza di eliminare i “terroristi” di Hamas e di annientare il popolo palestinese. Intento, quest’ultimo, che già allora, all’inizio, lasciava prevedere un ampliamento del conflitto anche nei mezzi usati da Israele, passati dai bombardamenti aerei alla guerra di terra e allo assedio di Gaza, lasciata morire di fame.
Venivano frattanto investite del caso le autorità di giustizia internazionale, prima fra tutte la Corte de L’Aia, chiamata ad accertare, sollecitata dal Sudafrica, se nella guerra di Gaza combattuta da Israele non potessero ravvisarsi gli estremi del genocidio. Ma la Corte, piuttosto che rispondere al quesito, invitava Israele ad adottare le misure necessarie ad evitarlo (il genocidio). Dove si vede che anche la giustizia internazionale, quando non voglia entrare nel merito, sa usare i pannicelli caldi, che Israele si guarda bene dal vestire.
Analoga sorte (il nulla) sarebbe toccata ad altre due decisioni della medesima Corte, ignorate da Israele, mentre la prima risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU, presa all’unanimità, senza che gli USA esercitassero il diritto di veto, per un cessate il fuoco “umanitario” in occasione del Ramadan, il mese sacro ai musulmani, quindi per un periodo di tempo limitato e non si sa bene se sia stata rispettata dagli israeliani. Frattanto la guerra si è estesa, prima in Libano, dove al posto di Hamas ci sono gli Hezbollah, anch’essi guerriglieri pro Palestina, “terroristi” che nasconderebbero, secondo gli israeliani, i capi militari di Hamas, e i loro capi stessi.
Poi la guerra è passata in Siria, in Yemen, in Cisgiordania, in Iraq, da ultimo in Iran, con migliaia di morti dovunque, milioni di persone “evacuate”, rimaste senza casa e senza pane. Insomma, anche la guerra di Gaza è sfociata in una guerra più ampia, estesa a molti paesi del medio Oriente, e speriamo che si fermi. Perché il conflitto pare estendersi fino a coinvolgere le forze “terze” che avevamo sempre ritenuto estranee alle parti in gioco, come gli uomini dell’UNIFIL, l’organizzazione di peacekeeping diretta emanazione delle Nazioni Unite, le basi della quale sono state prese di mira dagli israeliani.
Non lasciano bene sperare gli ultimi passi di Netanyau che, dopo avere manifestato la propria opposizione ad ogni tipo di cessate il fuoco, sembra addirittura suggerire la politica da seguire alle Nazioni Unite e alla Unione Europea, invitando le prime a ritirare dalla zona di guerra uomini e truppe dell’UNIFIL, la seconda ad esercitare pressioni non più sugli israeliani, ma sui palestinesi. Il fatto è che, secondo Israele, la stessa UNIFIL si presterebbe a nascondere uomini e capi di Hetzbollah quasi che fosse una quinta colonna dei palestinesi: e la cosa potrebbe anche essere vera. Ma, se pure fosse vera, neppure sarebbe giustificata la vera e propria caccia all’uomo, in cui la guerra si è trasformata, coinvolgendo inevitabilmente la popolazione civile, donne e bambini.
Se tu Israele ritieni che un capo Hezbollah si nasconda dentro o sotto o nei pressi di un asilo, e sia giustificato l’uso delle armi per catturarlo, la conseguenza è quella di accettare il rischio che ne vengano coinvolti, come sono stati coinvolti, anche i bambini dell’asilo. Cosa che a me, e non solo a me, pare inaccettabile, siccome contrastante con quel poco di principi umanitari ancora applicabile nel diritto di guerra. Così come appare inaccettabile l’attacco portato dagli israeliani alle stesse forze della UNIFIL, inviate in Libano per preservare la pace, non per alimentare una guerra. Ma chi sta dietro Israele?
Un paese che, dopo il 7 ottobre, sembra avere adottato la violenza come mezzo ordinario per risolvere le proprie rivendicazioni, che affondano le radici nella notte dei tempi, dimenticando che lo Stato di Israele è stato creato nel ’48 proprio dall’ONU in base a un progetto spartitorio tra due Stati, uno per gli israeliani, l’altro per i palestinesi; che il primo è stato creato, il secondo no; che a contestare la nascita di uno Stato palestinese sono stati finora gli israeliani, con una politica diretta ad ampliare il loro territorio, ai danni di quello assegnato ai palestinesi (colonizzando, ad esempio, la Cisgiordania, rivendicando diritti su Gaza e scatenando una guerra così violenta come mai si era vista); che la violenza ha assunto gli aspetti più diversi, dalle bombe dall’alto agli attacchi da terra, fino ad ostacolare chiunque tentasse (o tenti) di fornire ai palestinesi il minimo necessario per sopravvivere, acqua e pane; che alla violenza così intesa non è estraneo l’ordine di evacuazione impartito da Israele a milioni di persone, costrette ad emigrare in altri paesi (Siria), pure coinvolti nel conflitto; che tutto questo si è verificato, e si verifica, nonostante i moniti, gli avvertimenti, gli interventi, le decisioni, di organi politici e giurisdizionali, tutte indirizzate contro Israele; nonostante che l’ONU, a mezzo del suo Segretario Generale, abbia stigmatizzato la condotta di Israele (che per tutta risposta ne ha chiesto le dimissioni); nonostante le reazioni della pubblica opinione soprattutto giovanile, che non cessa di manifestare in tutto il mondo contro Israele e pro Palestina; nonostante abbia provocato un rigurgito di sentimenti antisemiti, di cui non si sentiva assolutamente il bisogno; di fronte a tutto questo carnet di ingiustizie, occorre tornare alla domanda: ma chi sta dietro Israele?
Non c’è dubbio che dietro Israele ci sia Biden, ci siano gli Stati Uniti. Perché questa guerra degli israeliani è finanziata dagli USA, e qui si tratta di miliardi di dollari. Senza badare ai mezzi, sempre più sofisticati, che Biden fornisce a Netanyahu, a partire dai caccia ai missili e ai droni. E’ di ieri la notizia che Biden è pronto a fornire Israele di un sistema antimissilistico, il THAAD, tra i più moderni e costosi, ora che alla guerra vera e propria sembra l’Iran assai vicino, e c’è il rischio che Israele debba proteggere il proprio suolo dai missili altrui, non limitarsi ad inviare i propri (ma sono sempre americani) nel suolo altrui. Ecco dove porta la guerra di Netanyahu finanziata da Joe Biden: ecco chi sta dietro Netanyahu. Che se qualcuno dovesse avere ancora qualche dubbio (fino a ipotizzare un contrasto personale tra Biden e Netanyahu), basterebbe a diradarlo la condotta diplomatica degli USA anche nel corso del conflitto, quando per esempio hanno bloccato col veto la risoluzione che avrebbe ammesso l’ingresso della Palestina nelle Nazioni Unite. Il che dimostra a sufficienza che Biden è stato, ed è, alleato di Israele, non della Palestina. Che non si può proclamare ai quattro venti (proprio così, ai quattro venti, perché la disperdano) non si può proclamare ai quattro venti la pace e finanziare la guerra.
*Magistrato in pensione e scrittore