Una riflessione del Giudice Michele Di lieto sulla prescrizione, tra l’altro dichiara: due esperienze governative, dell’una e dell’altra ho dato un giudizio negativo
Redazione
13 Febbraio 2020
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Inoltre nella riflessione Di Lieto affronta:
-Snaturare la visione di fondo delle singole forze della coalizione; La prescrizione, in campo penale, è una delle cause di estinzione del reato; Della prescrizione si è ritenuto, e ancora si ritiene dalla gente comune, che essa sia un mezzo che consente al colpevole di sottrarsi alla condanna per il solo decorso del tempo, non è così; I penta stellato, non appena arrivato al governo (con Salvini nel 2018), abbia varato la riforma dell’istituto, fissando una sospensione del termine prescrizionale già con la sentenza in primo grado; Tanto a dimostrazione evidente di quella che altrove ho chiamato, e continuo a chiamare la torre di Babele della politica italiana. “giustizialisti”, che dicono stop alla prescrizione nel corso del processo; dall’altro, quelli che, sempre per comodità di esposizione, chiamo qui “garantisti; le opposizioni, Lega, Forza Italia e la Meloni (con l’appoggio di Italia viva); Il dibattito vede divisi i magistrati, con alcuni distinguo (Davigo), contrari gli avvocati, contraria anche la stampa, anche qui con vistose eccezioni (Marco Travaglio); taluni (i garantisti) sostenendo che non può riformarsi la prescrizione senza riformare il processo penale, come non può iniziarsi una costruzione partendo dal tetto della casa; replicando gli altri (giustizialisti) che la riforma della prescrizione applicandosi ai soli reati commessi dopo il primo gennaio 2020; chi invoca la riforma generale prima della riforma già varata, sembra richiamarsi a logiche astratte solo per affossare, non per riformare il sistema; il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, proponeva un lodo, il lodo Conte bis (dal nome del suo proponente, Federico Conte: dove persino i nomi sembrano schiudersi alla farsa); sottolineare è l’estrema difficoltà di governare, quando la coalizione di governo muti così spesso (in due anni già due, la prima formata da Lega e De Maio, la seconda formata da PD e Di Maio, quasi fosse possibile sostituire un partito all’altro come si trattasse di pedine di dama.
Ma, in che mani ci siamo cacciati.
di Michele Di Lieto
Parlando altrove delle ultime due esperienze governative, dell’una e dell’altra ho dato un giudizio negativo. Giudizio che affonda le sue radici nella diversità tra le forze politiche che gli hanno dato vita: diversità talmente profonda da emergere ad ogni piccolo passo, da rendere complicata qualsiasi soluzione. Il che si verifica ancor più se si tratti di problema grosso, di problema di sistema, di problema di struttura, che non consente una qualsiasi mediazione senza snaturare la visione di fondo delle singole forze della coalizione. Faccio un esempio. La prescrizione. Della quale tanto si parla, forse anche troppo.
La prescrizione, in campo penale, è una delle cause di estinzione del reato. Della prescrizione si è ritenuto, e ancora si ritiene dalla gente comune, che essa sia un mezzo che consente al colpevole di sottrarsi alla condanna per il solo decorso del tempo. Di qui il tentativo, da un lato, di allungare la durata del processo sino a che non sia decorso il termine di prescrizione, dall’altro, di sospendere il termine per dare più tempo al giudice di arrivare a sentenza prima che il reato sia prescritto.
Essendo opinione largamente prevalente che la prescrizione sia una scappatoia che permette di evitare la condanna, e che, dunque, il termine di prescrizione debba essere fissato in modo tale da consentire una sentenza, si comprende bene come queste istanze che definiremo “giustizialiste” per comodità di esposizione siano state fatte proprie da quei movimenti (primo fra tutti i penta stellati) che più si dicevano ispirati ad esigenze provenienti dal basso del corpo sociale. Si comprende bene come il Movimento cinque stelle abbia fatto di tali esigenze (e della necessità di allungare i termini di prescrizione ritenuti troppo brevi) una bandiera simbolo della propria battaglia politica. Si comprende bene infine come il Movimento penta stellato, non appena arrivato al governo (con Salvini nel 2018), abbia varato la riforma dell’istituto, fissando una sospensione del termine prescrizionale già con la sentenza in primo grado (sia che si tratti di sentenza assolutoria sia che si tratti di sentenza di condanna), per tutti i reati commessi a partire dal primo di gennaio 2020. Stabilisce infatti l’art. 159 cod. pen. così come modificato dai penta stellati che “il corso della prescrizione resta sospeso dalla pronuncia della sentenza di primo grado o dal decreto penale di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o della irrevocabilità del decreto di condanna”. La norma sarebbe dovuta entrare, ed è entrata in vigore il primo gennaio 2020. Frattanto, molte cose sono cambiate. E’ cambiata la coalizione di governo.
Non più formato da Lega e penta stellati, ma da PD e penta stellati. Coalizioni entrambe formate per esigenze numeriche da forze talmente diverse tra loro, che più diverse non si può. Si è scollato il Movimento, e se n’è andato anche Di Maio, lasciando vuoto il posto di Capo. Si è disintegrato il PD, dalle sue costole essendo uscito il partito di Renzi, Italia viva, fermo però a percentuali irrisorie, che non hanno scalfito la forza (evidentemente non solo numerica) del PD. Sembra chiaro che, trattandosi di forze diverse che più diverse non si può, non tutto ciò che portava il segno Salvini Di Maio poteva riscuotere il plauso dei successori, essendo diverse non solo le coalizioni tra loro, ma le stesse componenti ciascuna. Il che ha caratterizzato le esperienze di governo per contrasti e divergenze insorte all’interno stesso delle coalizioni. Sembra evidente che una riforma come quella della prescrizione, già frutto di un compromesso tra Lega e penta stellati nel momento in cui fu varata (frutto di compromesso era lo stesso termine di entrata in vigore prorogato di un anno per fare un piacere a Salvini), non poteva essere più condivisa ora che Salvini non era più al governo; e che lo stesso appoggio del PD non poteva avere la stessa forza di prima, ora che Renzi era uscito dal partito, formandone uno tutto suo, Italia viva. Di qui una serie di contrasti, di vertenze, di litigi, non solo tra partiti, ma all’interno dei singoli partiti. Di qui la politica occupata da mesi dalla prescrizione, come se non ci fossero altri problemi più urgenti da risolvere: col paradosso che queste eccezioni sono poste proprio da quelle forze che si oppongono alla riforma e per opporsi si appellano al rinvio. Tanto a dimostrazione evidente di quella che altrove ho chiamato, e continuo a chiamare la torre di Babele della politica italiana.
Da un lato, quelli che ho chiamato “giustizialisti”, che dicono stop alla prescrizione nel corso del processo; dall’altro, quelli che, sempre per comodità di esposizione, chiamo qui “garantisti”, che ritengono un assurdo giuridico tenere un imputato sotto processo all’infinito. Da un lato il Movimento cinque stelle, che di questa riforma ha fatto una bandiera, e l’incerto PD che, stando al governo, non può non schierarsi a favore dell’alleato (con alcune vistose eccezioni, Italia viva di Renzi); dall’altro le opposizioni, Lega, Forza Italia e la Meloni (con l’appoggio di Italia viva). Ma sulla questione vi sono contrasti non solo tra le forze politiche. Il dibattito vede divisi i magistrati, con alcuni distinguo (Davigo), contrari gli avvocati, contraria anche la stampa, anche qui con vistose eccezioni (Marco Travaglio). Il tutto condito dal richiamo a norme costituzionali, prima fra tutte l’art. 111 sulla durata ragionevole del processo penale, che rende improcrastinabile una riforma del sistema, una riforma generale del processo penale. E’ questo, a ben guardare, il nodo cruciale del dibattito in corso: taluni (i garantisti) sostenendo che non può riformarsi la prescrizione senza riformare il processo penale, come non può iniziarsi una costruzione partendo dal tetto della casa; replicando gli altri (giustizialisti) che la riforma della prescrizione applicandosi ai soli reati commessi dopo il primo gennaio 2020, e quindi non prima di qualche anno, resterebbe tutto il tempo per una riforma organica del sistema. E’ questa, la seconda, l’opinione più corretta ad avviso di chi scrive. Di riforma organica si parla da anni, anzi da decenni: ed altra soluzione non è stata trovata che il rinvio, l’eterno rinvio. Sarebbe davvero un peccato, ora che la legge, varata dal governo Salvini De Maio, è entrata addirittura in vigore, non sperimentare la riforma di un istituto, la prescrizione, che può anche incidere, se allungata, sulla durata del processo, scoraggiando chi propone appello solo in attesa che il tempo decorra.
Soprattutto, la riforma dell’istituto non preclude l’esame dell’intero processo: e chi invoca la riforma generale prima della riforma già varata, sembra richiamarsi a logiche astratte solo per affossare, non per riformare il sistema. Sembra insomma di sentire quegli stessi che hanno invocato la riforma di struttura per anni, anzi per decenni, senza proporre che il rinvio, l’eterno rinvio. La lotta è stata feroce, senza esclusione di colpi. Con un governo che teme un voto in aula, con una maggioranza fin troppo esile. Con le opposizioni che non vedono altro che il governo vada a casa, e trovano ogni pretesto utile per mandarlo via. E con Renzi, e il suo partito, Italia viva, che non si sa da che parte stia, se dalla parte dei Cinque stelle o dalla parte di Salvini. Orbene, mentre il governo e il ministro della giustizia (guarda caso, Bonafede, un penta stellato) non sapevano neppure come e quando presentare la loro riforma (riforma, val la pena ribadirlo, di una legge già in vigore), il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, proponeva un lodo, il lodo Conte bis (dal nome del suo proponente, Federico Conte: dove persino i nomi sembrano schiudersi alla farsa), che, in buona sostanza, affossava il provvedimento, voluto dal governo Salvini De Maio, e già entrato in vigore per i delitti commessi dopo il primo gennaio. Se il provvedimento varato bloccava la prescrizione per tutte le sentenze di primo grado, il cd. lodo Conte bis la bloccava e solo per quelle di condanna emesse in grado di appello. Ci voleva poco a capire che il provvedimento difeso dal ministro ne usciva con le ossa rotte, se si pensi che la gran parte delle sentenze che dichiarano la prescrizione viene emessa proprio in appello. Ma i Cinque stelle e il PD, e Liberi e uguali, che pure fanno parte della maggioranza, aderivano al lodo, accettando le modifiche di sostanza introdotte nella legge e dando vita a un nuovo balletto con le opposizioni (e con Renzi).
Nessuno sa come questo balletto andrà a finire. Non ci interessa. Interessa invece porre in rilievo, per riportarci all’inizio, come veri e propri stravolgimenti di una norma di legge non possano influire sulla norma medesima, e sugli intenti dei proponenti. Nel caso concreto questo intento era quello (patrocinato dal Movimento penta stellato, di allungare, non accorciare il termine di prescrizione). Se invece, sia pure attraverso un lodo, e la mediazione del Presidente del Consiglio, la riforma ne viene completamente modificata, ben si capisce come il provvedimento non ancora varato non sia più lo stesso di prima: e se quello di prima già appariva strampalato, ma almeno era coerente con la visione di fondo dei penta stellati, la stessa cosa non può dirsi per il provvedimento studiato dal lodo, che certamente non obbedisce alla visione di fondo dei penta stellati, ma non obbedisce neppure alla visione di fondo del PD, che non si sa neppure cosa sia. Non sappiamo come la cosa andrà a finire.
Non sappiamo se ha ragione di consolarsi il Ministro della giustizia per una vittoria solo apparente, o ha ragione di gioire Renzi, che sta sempre dietro le quinte, e parla di vistoso passo indietro del governo e del suo Ministro. Quel che ci premeva sottolineare è l’estrema difficoltà di governare, quando la coalizione di governo muti così spesso (in due anni già due, la prima formata da Lega e De Maio, la seconda formata da PD e Di Maio, quasi fosse possibile sostituire un partito all’altro come si trattasse di pedine di dama). Quel che ci premeva sottolineare è l’estrema difficoltà di governare senza scendere a compromessi, che non sono il frutto di meditata disamina in vista dell’interesse superiore del paese, ma il frutto di calcoli deprimenti sui possibili vantaggi per ciascuno.
E a compromessi di questo tipo si scende, si deve sempre scendere quando le forze che vanno al governo hanno poco o nulla in comune, come Lega e Movimento cinque stelle, come PD e penta stellati. In che mani ci siamo cacciati.
Michele Di Lieto*
Magistrato in pensione e collaboratore de “il Sud”