Il giudice Di Lieto analizza le differenze tra il processo penale Americano e quello italiano, partendo dal processo a dall’ex presidente Trump

 

 

 

Dott. Michele Di Lieto

Il processo a Donald Trump, Presidente degli Stati Uniti dal 2017 al 2021, offre lo spunto per chiarire come funziona la giustizia americana, quali sono le differenze più vistose tra gli Stati Uniti e il nostro Paese, più genericamente tra i paesi di common law e  i paesi di civil law. Sarà bene approfondire prima di entrare nel vivo alcuni concetti legati al tema da trattare: chiarire che si intende per processo accusatorio, che si intende per processo inquisitorio, qual è l’elemento che distingue la separazione dall’unicità delle carriere. Il sistema accusatorio si caratterizza per il sistema di raccolta delle prove, che avviene ad opera delle parti in posizione di perfetta parità  dinanzi al giudice terzo. Non è questo il solo carattere peculiare al processo accusatorio, ne esistono altri come, per esempio, la presunzione di non colpevolezza dell’imputato. Il sistema inquisitorio invece si caratterizza per l’identità del giudice con l’accusatore, per le prove raccolte dall’accusa, per la presunzione  di colpevolezza dell’imputato, tenuto a fornire lui la prova di non aver commesso il reato. Veniamo alla seconda distinzione: separazione e unicità delle carriere. La separazione fa sì che, fin da quando entra in magistratura, il giudice, chiamato a giudicare, “separi” la sua attività da quella del pubblico accusatore, chiamato a raccogliere le prove da sottoporre al giudice per la decisione (il che avviene attraverso vari percorsi, ivi compreso quello del doppio concorso, uno per il giudice, l’altro per il Pubblico Ministero). L’unicità delle carriere obbedisce a tutt’altre esigenze: in nome della cultura della giurisdizione, che deve essere unica sia per il giudice che per il Pubblico Ministero, entrambi accedono alla magistratura attraverso un concorso unico, salvo a scegliere la carriera effettiva, a cambiare (oggi con molte limitazioni) l’attività giudicante in quella inquirente (e viceversa). Così precisate le differenze che corre tra i vari modi di fare giustizia, occorre subito chiarire che non si tratta di differenze sovrapponibili. Voglio dire che il processo accusatorio non segue necessariamente le carriere separate come il processo inquisitorio non segue necessariamente l’unicità delle carriere (ma l’esempio potrebbe essere diverso sostituendo al termina: accusatorio l’altro: inquisitorio). Voglio dire che, una volta abbracciato il modello, accusatorio o inquisitorio, non ne viene predeterminata l’unicità o la separazione delle carriere. L’esempio più vistoso viene proprio dagli Stati Uniti, patria del processo accusatorio, dove la separazione delle carriere è nient’altro che un mito, non essendo raro il caso di passaggio dall’una all’altra funzione, ed essendo molte volte l’attività di Procuratore trampolino di lancio per la nomina a giudice (vedi:  Ignazio Patrone su Wikipedia anno 2022), Vorrei aggiungere un altro esempio tratto dall’ordinamento del nostro Paese, dove i  Costituenti accettavano i principi fondamentali del processo accusatorio (la prova raccolta dalle parti in condizione di parità dinanzi al giudice terzo) i ma stabilivano pure che  la nomina dei magistrati avvenisse  mediante concorso (unico per i magistrati senza alcuna distinzione) accettando il principio della unicità delle carriere. Ho parlato di Costituzione perché nel corso degli anni il nostro ordinamento ha subito proprio sul punto varie modifiche sino ad assumere un carattere ibrido  o “misto”, e perché la separazione delle carriere  costituisce uno dei punti fondamentali di una riforma della giustizia penale in avanzato stato di approvazione: non a caso il Ministro Nordio ha preannunciato riforme proprio in tema di separazione delle carriere, oltre che in materia di obbligatorietà dell’azione penale, che, se fosse abrogata,  farebbe del P.M. un organo dell’esecutivo,  del tutto diverso da quello che abbiamo conosciuto. Esaurita questa disamina, necessariamente breve, sulla separazione delle carriere nell’ordinamento attuale, vediamo, altrettanto brevemente, quel che succede negli Stati Uniti. Negli Stati Uniti, i giudici sono in gran parte eletti, e il voto popolare risente inevitabilmente dell’appartenenza politica del magistrato all’una o all’altra parte politica. Altrettanto avviene per i pubblici accusatori, nominati in base a criteri strettamente politici, sia che la scelta venga affidata al voto popolare, sia che avvenga attraverso la nomina politica. Sì che, non essendo recepito il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, ed essendo i procuratori strettamente legati alle direttive dell’esecutivo, sarà il Ministro a stabilire se e chi e perché debba essere processato. Come possa essere garantito il principio, per noi sacro, della imparzialità e della neutralità del giudice, da noi previsto anche per i pubblici ministeri, è difficile dire. Intendiamoci. Non è che il nostro sistema sia perfetto. Nessun sistema è perfetto. Nessun sistema può evitare che la politica penetri nelle maglie sempre più ampie dell’apparato giudiziario. Di qui il tentativo di eliminare storture che si verificano nella pratica giudiziaria nell’uno e nell’altro sistema. In Italia, come si è visto, unico è il concorso che dà accesso alle carriere di giudice e procuratore inquirente. Anche in altri Paesi esiste un unico concorso: ma chi lo supera viene obbligato a un periodo di prova, al termine del quale viene indirizzato all’una o all’altra funzione, senza possibilità di cambiare. In Italia, negli ultimi tempi, è in itinere una riforma della giustizia modellata, per quanto riguarda il processo penale, sul sistema statunitense. Processo accusatorio, come ci è stato insegnato dai mille processi divulgati dal cinema e dalla tv, parità delle parti di fronte al giudice terzo, giudici eletti, solo in parte nominati da organi politici, organi inquirenti dipendenti solo e sempre dall’esecutivo.  Ma anche in America è stato avvertito il bisogno di temperare le conseguenze derivanti (e derivate) da una rigorosa applicazione dei principi in materia di imparzialità e neutralità del giudice, che costituiscono il fondamento di tutti i sistemi, ivi compresi i sistemi di common law. Si è cercato così di ampliare la prassi che intendeva coniugare imparzialità e neutralità con libere elezioni, che costituiscono soprattutto nei paesi di common law il fondamento della democrazia. Il rimedio è apparso fin da subito peggiore del male. Perché il voto popolare obbedisce a regole e a maggioranze che nulla hanno a che fare con la serenità del giudice che da sempre garantisce un’equa decisione. Insomma: se l’elettore sa che il candidato giudice è repubblicano, difficilmente gli sfuggiranno i voti dei repubblicani, non essendo neppure vietata o soggetta a restrizioni la libertà di associazione e di manifestazione del proprio pensiero.  Ma, a parte questa considerazione di fatto, é lecito chiedersi se questo ampliamento della platea di elettori (attualmente sono 39 gli Stati dell’Unione che adottano questo sistema, 39 su 50), possa conciliarsi col principio di eguaglianza che, a mio avviso, caratterizza alla pari col diritto di voto le moderne democrazie. Se tu accetti il sistema elettorale come il migliore esistente per la selezione dei giudici (di merito: diverso è il sistema di nomina per la corte suprema) e mi lasci in piedi le differenze di ordine economico, sociale, di razza, queste ultime ancora vistose nella società americana, hai un bel parlare di democrazia, e di giustizia democratica. Negli Stati Uniti, sotto questo profilo, non esiste democrazia. Il che giustifica lo scetticismo sempre più ampio nel diritto di voto; e conferma ancora una volta che non esiste sistema perfetto. In Italia il problema non si pone, ma in Italia esistono altre storture come la lungaggine estrema dei processi che andrebbe combattuta con una riforma radicale della normativa penale, non giovando alla sveltezza dei processi l’abitudine frequente di demandare tutto al giudice fidando nella efficacia deterrente della pena, mentre ci si dovrebbe fidare delle sanzioni amministrative e depenalizzare gran parte dei reati minori. E qui passo ad esaminare il processo Trump, che non è un processo minore, e già si segnala per la contrapposizione tra accusa e difesa, fonte di mille eccezioni che saranno elevate dall’una e dall’altra parte. Occorre premettere che il processo a Trump ha una valenza storica, essendo il primo processo a carico di un ex Presidente degli USA per fatti risalenti nel tempo a prima e a dopo l’elezione alla massima carica dello Stato. Occorre poi notare che Trump, sconfitto nel 2021 da Biden, attuale Presidente degli USA, intende ripresentarsi alle elezioni presidenziali, e sta correndo  per le primarie che designeranno il candidato repubblicano effettivo. Era facile prevedere che il processo si sarebbe tradotto in uno scontro politico, non era facile invece prevedere uno scontro frontale tra il pubblico accusatore e l’imputato, sia pure eccellente, ma sempre imputato.  Trump ha scelto questa via.  “Caccia alle streghe” “Il Giudice mi odia” “Processo farsa. Sono queste le espressioni usate sempre più di frequente dall’ex Presidente, che fa balenare il sospetto che il processo tenda pur sempre a bloccargli la carriera politica. Se il sospetto fosse fondato, l’accusa potrebbe ritorcersi in danno di chi l’ha formulata: se gli elettori dovessero convincersi che il processo ha carattere persecutorio, nessuno potrebbe vietare a Trump di conquistare milioni di voti, vincere le primarie, aspirare concretamente alla Presidenza degli Stati Uniti. Per quanto riguarda i magistrati, occorre tener conto del fatto che, trattandosi del primo processo contro un Capo, o ex Capo dello Stato, essi non potranno contare sui precedenti, che sono negli Stati Uniti a base di qualsiasi processo, a fondamento di qualsiasi decisione. Il che giustifica il loro riserbo: non tale comunque da vincere il sospetto che gli inquirenti abbiano qualche carta nascosta, possano elevare ulteriori imputazioni, senza contare l’assalto al Campidoglio del gennaio 2021, al quale sono in pochi a credere  sia rimasto estraneo Trump. Ecco dunque come il processo attuale potrebbe sfociare in ulteriori accuse dagli sviluppi imprevedibili.

Ma di che viene chiamato a rispondere l’ex Presidente degli Stati Uniti?

Nessuno, spero, pretenderà che per stendere queste note io sia andato a leggere i trentaquattro capi di imputazione. Mi limiterò a quello che riportano i media. L’accusa si fonda sulle dichiarazioni di due donne legate al mondo sexy, che avrebbero ricevuto danaro imputato a spese legali per tacere una relazione extramatrimoniale col Presidente: cosa risalente al  2006 che avrebbe potuto danneggiarlo  nel corso della campagna elettorale del 2016, e di un portiere di albergo che  avrebbe ricevuto danaro proveniente dai medesimi fondi per tacere l’esistenza di un figlio illegittimo del Presidente, e consentirgli una  campagna elettorale tranquilla e senza preoccupazioni di sorta. Si tratta di dati scarni, molte volte contraddittori, che non consentono una analisi approfondita senza una conoscenza altrettanto approfondita degli atti, del diritto penale e del diritto processuale penale degli Stati Uniti.  Quello che è certo è che gli stessi opinionisti chiamati ad esprimere il loro parere cominciano ad avere dubbi sulla bontà delle accuse, soprattutto sulla difficoltà di provarle in un processo che fin dagli inizi appare in salita per gli inquirenti, minato alla base dal pericolo che degeneri in processo spettacolo. Per parte mia, voglio concludere queste note con considerazioni di ordine generale che travalicano il caso dal quale siamo partiti.

  • Primo. Un processo a carico di un capo o ex capo di Stato dovrebbe essere limitato a fatti del suo mandato, non dovrebbe estendersi a fatti anteriori. A parte questioni di principio, vi si opporrebbero eccezioni comuni ad ogni difesa: penso alla prescrizione, penso all’amnistia che potrebbe essere stata concessa durante il suo mandato dallo stesso presidente (o ex presidente) costretto in prosieguo di tempo ad applicarla a se stesso.
  • Secondo. Anche per i fatti compiuti nell’arco del suo mandato limiterei il processo a fatti gravi o gravissimi. L’omicidio, ad esempio, quando la prova sia acquisita a distanza di tempo. Questo per i delitti comuni. Per i delitti commessi nell’esercizio delle sue funzioni sarei altrettanto severo. Limiterei il processo a fatti gravissimi come l’alto tradimento e l’attentato alla Costituzione  previsti dall’art. 90 della nostra Carta costituzionale. Estendere oltre tali limiti la responsabilità del Capo dello Stato mi parrebbe pericoloso proprio perché il processo può trasformarsi in processo spettacolo per la notorietà dell’imputato che, bene o male, ha retto per un certo periodo le sorti del paese. Abbia fatto bene o male sarà a Storia a giudicarlo.

Michele di Lieto*

*Magistrato in pensione e scrittore

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