Il giudice Michele Di Lieto sta dalla parte dell’orsa, ma non sottovalutare la gravità della disgrazia di Andrea Papi

Nell’ alto Trentino, Andrea Papi, giovane runner, mentre scendeva di corsa per tornare a casa, si è scontrato con un’orsa. In merito va anche detto, che il rischio non è mai pari a zero, ma comunque niente è stato fatto per ridurre il pericolo che nasce dalla convivenza tra l’uo

Il dott. Di Lieto

mo e l’animale.

di Miche Di Lieto*

Qualche settimana fa, nell’alto Trentino, Andrea Papi, giovane runner reduce dallo allenamento giornaliero lungo i pendii della val di Sole, mentre scendeva di corsa per tornare a casa, si è scontrato con un’orsa, inserita in un programma di ripopolamento passato da pochi esemplari a un numero consistente di animali.

Non sappiamo se l’orsa, reduce da un parto plurigemellare, avesse con sé i piccoli, non tanto piccoli nati. Fatto sta che il giovane runner, ferito in varie regioni del corpo, non ce l’ha fatta ed è morto. Sono scattate le ricerche dell’orsa, è stata identificata, le è stato dato un nome, è stata catturata, ne è stato ordinato l’abbattimento. Sono insorti gli animalisti, opponendosi (salvo rare eccezioni) all’abbattimento, e dichiarando di volere agire in qualsiasi sede per evitarlo.

Non mi si chieda da che parte sto. Dalla parte dell’orsa, sottoposta in questo caso a un processo sommario, fondato su categorie codicistiche che mal si addicono a un animale, e concluso dall’ordinanza di abbattimento. Persino gli animalisti parlano di “vendetta”, di “rappresaglia”, quasi che l’orsa fosse in grado di capire qual è la sua colpa, di capire perché è stata condannata a morte. Intendiamoci.

Non voglio qui prendere le difese dell’orsa fino al punto di sottovalutare la gravità della disgrazia, l’intensità del dolore provato dai genitori, lo sconforto di chi gli stava vicino per la morte di un giovane ventiseienne ridotto alla fine quand’era ancora in vita, come ha accertato l’autopsia. Ma lo stesso padre, la stessa madre del giovane hanno escluso la colpa del figlio e dell’orsa, con dichiarazioni che fanno onore a chi le ha pronunciate ma, quale che sia la conclusione della vicenda, non riporteranno in vita il giovane morto.

Se è così, penso di potere utilizzare anch’io i concetti degli animalisti, che attribuiscono l’evento a una fatalità, una violenza della natura (natura è il bosco, natura è l’animale), dove il rischio non è mai pari a zero, e dove niente è stato fatto per ridurre il pericolo che nasce dalla convivenza tra l’uomo e l’animale. Il guaio più grave nasce dal fatto che manca una ricostruzione verosimile della dinamica dell’evento. Dovrebbe parlare l’orsa: poiché questo non è possibile, non sapremo mai se l’animale abbia agito in difesa degli orsacchiotti che portava con sé (ne sono stati ritrovati due anche all’atto della cattura), o sia stato spaventato dalla corsa o da qualche altro gesto del giovane runner, o sia rimasto vittima della fame, non essendo rifornito di cibo giornaliero.

Il secondo guaio (non in ordine di importanza) nasce dal fatto che non è stata (o non è stata adeguatamente informata) la popolazione residente, che si arricchisce di turisti la stagione estiva, dei rischi nascenti dagli orsi viventi nella zona. L’autorità amministrativa sostiene che sono stati apposti cartelli, il papà del giovane ucciso dichiara di non averne visto alcuno. Quale che sia la sorte del cartello, è facile obiettare che la indicazione dei rischi, il suggerimento di cautele non potrebbe mai evitare lo scontro con l’animale libero di circolare per tutto il bosco che costituisce l’habitat suo naturale. Un rimedio ci sarebbe: recintare l’area boschiva in modo da evitare qualsiasi contatto diretto fra l’animale e l’uomo: ma la soluzione sarebbe faticosa e finirebbe per trasformare l’orso libero in animale transennato (che non sappiamo quanto giovi a una specie in via di estinzione inserita in un piano di ripopolamento).

Ultimo guaio che intendo sottolineare è quello che nasce dal rapporto uomo-natura che si è profondamente modificato, da che l’uomo si considera padrone assoluto, capace di fare ciò che vuole, e la natura fa valere le sue ragioni di vita. Capisco bene che altro è convivere con pochi esemplari, altro è convivere con una popolazione di animali che da una ventina è passata a un centinaio (secondo stime approssimate: il numero esatto nessuno lo conosce). Ma il bosco, in Trentino come altrove, è stato depredato, cementificato, incendiato, distrutto, il che consente centinaia di rapporti là dove ne erano stati pronosticati molti di meno.

Pare insomma che in montagna si stia verificando quel che da tempo si era verificato a mare, dove la collina è scomparsa, il verde occupato dalle case.

Lo scrittore La Capria

Prendo ad esempio la costiera amalfitana, dove sono nato, ma altrettanto avviene sulla costa opposta, dove vivo. Mi piace qui ricordare che Raffaele La Capria, il grande scrittore napoletano di recente scomparso a novantanove anni, essendo stato in costiera molti anni fa, ed essendovi tornato poco prima che morisse, non riconobbe il paesaggio che sapeva al punto di parlare di scempio, di resa, di disastro ambientale, dove le case hanno soppresso la collina. Non vorrei che la stessa cosa si verificasse in Trentino.

Neppure vorrei che gli animalisti, e le associazioni, vedessero puniti i loro sforzi per ottenere la sospensione dell’ordinanza di abbattimento. Come al solito, a togliere le castagne dal fuoco è stato chiamato il giudice, quello amministrativo. Sarà il TAR del Trentino a decidere la sorte dell’orsa.

L’udienza è stata rinviata all’11 maggio. Pare esista un precedente favorevole agli animalisti. Speriamo bene. Attendiamo l’11 maggio.

*Giudice in pensione e scrittore

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