Abbiamo ricevuto da un nostro lettore una nota relativa ad un articolo scritto dal giudice Michele Di Lieto sulla guerra in Ucraina, la stessa nota l’abbiamo girato all’autore dell’articolo.
La nota di Leonardo Arcuri:
Gentilissimo dottor Nigro, è passato un anno e mezzo da quel maledetto 24 febbraio che segnò l’invasione e l’inizio della guerra russo ucraina. Nel frattempo si è parlato più volte di pace, personaggi anche autorevoli si sono offerti per una mediazione tra le parti. Che restano ferme sulle loro posizioni ed hanno respinto qualsiasi tentativo. Sa dirmi se si può ancora sperare. Se no, di chi è la colpa. Dietro Putin, dietro Zelenskj c’è forse qualcuno?
Quale è la posizione della Cina, quale è quella degli Stati Uniti? Signor Direttore, mi faccia un bilancio di un anno e mezzo di guerra, trascurando la versione delle parti, troppo parziale, troppo interessata ed obbedisce ad esigenze diverse dalla verità dei fatti. Mi parli della guerra dell’informazione nel conflitto russo ucraino. La ringrazio. Leonardo Arcuri.
Ecco la risposta del giudice Di Lieto, nostro collaboratore.
Gentilissimo Signor Arcuri, sono pronto. Non sono un preveggente ma sono pronto.
1) Bilancio della guerra in corso. E’ quello che appare dalle immagini dei mezzi di informazione più comuni: case sventrate, edifici abbattuti, mezzo paese distrutto. Parlo, naturalmente, dell’Ucraina, devastata da bombe e missili russi; ma la guerra dei droni è giunta fino a Mosca: se pure non ha causato vittime, avrà provocato uno shock emotivo nella popolazione, tenuta finora indenne da operazioni belliche. Non sappiamo se sia giustificato l’entusiasmo (alquanto cinico) degli ucraini (“la Russia dovrà imparare a convivere con la guerra”: così Zelenskj) o sia giustificato il timore che la guerra dei droni porti a un allargamento del conflitto, a reazioni più volte annunciate, all’uso di armi che portano dritto alla terza guerra mondiale (“tentativo di provocare una reazione speculare”, così Putin). In ogni caso, tutto questo non alimenta speranze di pace, portate avanti da mediatori autorevoli, non sappiamo se ingenui o navigati.
2) Di chi la colpa? Prima di tutto delle parti. Putin e Zelenskj restano fermi sulle posizioni di partenza e non sembrano disposti a cedere neppure di un passo. E’ chiaro che, così stando le cose, ogni tentativo di mediazione è destinato a fallire. Non c’è accordo mediato che possa avere successo senza collaborazione delle parti. Da che mondo e mondo un accordo tra belligeranti presuppone che uno ceda qualcosa, e l’altro pure. Se questa volontà non esiste è inutile parlarne. Pare che negli ultimi tempi, Putin e Zelenskj (soprattutto il primo) abbiano assunto posizioni più morbide, fino a che punto è da dimostrare.
3) Chi sta dietro Putin, chi sta dietro Zelenskj? Per Putin potrebbe essere la Cina, ma ha assunto posizioni assai sfumate che non vanno, almeno così sembra, di là da manifestazioni di solidarietà verbale. Non c’è dubbio, invece, sul rapporto che lega Zelenskj a Biden, Presidente degli Stati Uniti. Se non ci fosse qualcosa d’altro, basterebbero i miliardi di dollari spesi da Biden per uomini ed armi fornite all’Ucraina. Nel qualcosa d’altro ci metto la serie di pressioni esercitate sulla NATO e sulla UE, tutte accolte senza riserve, il che dimostra lo stretto rapporto che lega Biden ai paesi interessati. Al punto tale che taluno ha pensato a un conflitto non tra Russia e Ucraina, ma tra Russia e Stati Uniti, traendo spunto dagli interessi comuni ai due paesi e dal disegno (per così dire imperialistico) di estendere la rispettiva sfera d’influenza in quella parte del mondo. Comunque sia, è parso a molti che Biden, e gli USA, siano coinvolti nella guerra ucraina come in una guerra per procura combattuta da Zelenskj e foraggiata da Biden. Ne sarebbe prova, da ultimo, il silenzio assoluto del Presidente degli USA, che pure a parole difende la pace, ma non ha pronunciato una parola di condanna per l’attacco ucraino al centro di Mosca, del quale abbiamo parlato all’inizio , ed ha sicuramente aggravato i rapporti fra le parti.
4) Veniamo qui alla guerra d’informazione. E’ sempre esistita. Fin dai tempi più antichi alla guerra sul campo si è accompagnata una guerra fatta di notizie tese a ingannare l’avversario ed assicurarsi un vantaggio sulle operazioni di guerra. Solo che le tecniche si sono via via affinate, mano a mano che mutava lo stesso strumento di informazione. Nella guerra russo ucraina c’è questo di particolare, che il conflitto trova spazio e visibilità, oltre che sui mezzi comuni di informazione, sui social, che taluno considera strumento essenziale di contro informazione, altri considerano mezzo per venire a conoscenza di notizie taciute dalle fonti ufficiali. Come che sia, i social hanno assunto un rilievo positivo universalmente riconosciuto, Oggi basta accedere a uno dei tanti social in circolazione per potere informare, o essere informati, a costo quasi nullo, in tempi rapidissimi, da milioni di utenti sparsi per il mondo. Col pericolo di vedere pubblicata, e seguita dai comuni mezzi di informazione, una notizia di cui non è verificata l’origine, certificata la natura, salvo che la notizia falsa non sia deliberatamente diffusa a favore di una delle parti. E’ questo il fenomeno delle fake news, usate da entrambe le parti in causa, che hanno trovato nei social alleati di grosso peso.
Alle fake news voglio qui dedicare più di due righe, con una premessa di carattere generale. Abbiamo già detto, e qui ripetiamo, che le tecniche informative si sono via via affinate fino all’avvento dei social. Prima c’era la televisione, prima ancora la radio, prima ancora l’informazione fornita dall’inviato, dal corrispondente, dal giornalista di guerra che seguiva il conflitto da vicino, ed era in grado di trasmettere notizie dirette, di prima mano, per quanto possibile neutrali, sorrette dall’intento di accertare, anche solo di contribuire ad accertare la verità. L’informazione del giornalista di guerra ebbe però vita effimera per le restrizioni apportate dai belligeranti alla libertà di stampa, all’accesso del giornalista sul campo di battaglia, alla facoltà di fornire notizie divergenti dalla versione ufficiale, comunque destinate a rimanere riservate.
Queste restrizioni durano tuttora. Anche nella guerra russo ucraina dove le parti hanno fatto ricorso a vari divieti, più gravi quelli di Putin, gravemente sanzionati, meno gravi quelli di Zelenskj, che ha finito per “arruolare” quasi tutta la stampa straniera. Appare pertanto evidente che, essendo le restrizioni più gravi imposte da Putin, essendosi allontanati, o fatti allontanare dalla Russia i giornalisti occidentali, le notizie sulla guerra russo ucraina hanno fatto capo alle fonti ufficiali, accreditate dagli statunitensi, che hanno sempre esercitato il controllo dell’informazione. Per sincerarsene, basta sfogliare le pagine di Wikipedia che attribuiscono le notizie a fonti tutte occidentali. Per questo, le fake news attribuite agli ucraini vanno prese con le molle.
Chi ha definito i social siti di disinformazione? Gli occidentali. Chi ha parlato di bufale costruite dai social per sminuire il contributo ucraino? Gli occidentali. Chi ha parlato di fake news diffuse dai social pro Cremlino? Il servizio informazioni UE, gli occidentali. Occorre, ripeto, molta cautela nella valutazione dei servizi dei social, tanto più che la pretesa “disinformazione” continua a fare proseliti (due persone su tre sono state colpite da fake news sulla guerra ucraina). Ma chi ha stabilito che si trattava di notizie false? Gli occidentali. Anzitutto gli Stati Uniti, poi tutti paesi europei. Compresa l’Italia che affida la guerra ucraina ai talk show che si inseguono sui canali televisivi.
Che dire? Che il talk show è nato come mezzo di intrattenimento e tale è rimasto dopo la guerra ucraina: il talk show è nato come spettacolo, e spettacolo è rimasto anche dopo la guerra ucraina. Al talk show sono invitati esperti, o presunti tali, che, quale che sia il tema trattato, sembrano diventati onniscienti e fanno interventi che strappano il sorriso. Alla regola non si sottrae la guerra ucraina. Solo che al posto dell’attore, a strappare il sorriso sono gli esperti. E gli spettatori, che ormai si sono abituati, stanno lì ad attendere la lite, come parte essenziale dello spettacolo cui stanno assistendo.
Agli spettatori quello che dicono gli esperti, o presunti tali, non interessa un fico secco. Interessa la lite, come finirà, chi vincerà la lite. Come se il teatro televisivo fosse un ring, la lite un incontro di boxe. Senza sapere, o facendo finta di non sapere che anche la lite è stata sottoposta a prova, che sono preparati anche i protagonisti, che seguono la scaletta come l’attore segue la sua.
A questo si è ridotta la televisione: che deve sempre obbedire alle esigenze della pubblicità e piegarsi all’informazione imposta dalla pubblicità delle multinazionali, degli statunitensi, degli occidentali. Si tratta qui di un settore letteralmente invaso da fake news, che lascio al lettore, se ne ha voglia, di approfondire. Ho finito. Ringrazio il signor Leonardo Arcuri, che mi ha dato lo spunto, ringrazio chi vorrà leggere questa nota. (Michele Di Lieto)