Autonomia Differenziata: se esiste una classe culturale, politica e dirigente al Sud, è giunta l’ora di dimostrarlo davvero. Il silenzio è complicità.

                              Giovanni Squame, conoscendo le mie debolezze, mi ha inviato un altro pezzo, su un tema che merita molta attenzione, da parte della classe dirigente del Sud  (opposizione e maggioranza), ad incominciare dai parlamentari tutti, se davvero vogliono bene all’Italia. Ovviamente, ai meridionali spetta ancora di più lavorare e non far passare sotto traccia le decisioni, come sta avvenendo nell’apposita commissione. In virtù di ciò, mi chiedo: perché non rendere note le scelte e le decisioni dei lavori a tutta la cittadinanza?

Questo significherebbe, soprattutto per le opposizioni, con il coinvolgimento delle strutture territoriali, a non ridursi ai soliti slogan “recitati” sui mass media giornalmente, ma ad andare tra la gente, per spiegare all’intera popolazione, soprattutto del Mezzogiorno, il significato vero di “questa riforma leghista”, approvata dal Governo. E come il Sud, con una riforma equa, potrebbe definitivamente sentirsi integrato nel progetto di sviluppo socio-economico del Paese. Tutto ciò consentirebbe di superare gli eventi traumatici subiti da sempre dal Sud: meno economia, meno occupazione, meno infrastrutture, ecc. Avviare a soluzione questo, significherebbe voltare pagina, una volta per sempre.

Ma la classe dirigente del Paese è consapevole di questo? Se lo è, perché non si attrezza per coinvolge i cittadini e le  maestranze, per dar vita a un grande progetto di valorizzazione delle risorse territoriali? Ciò creerebbe non solo economia, ricchezza ed occupazione, ma fiducia nell’intero Paese, con la definitiva normalità, solidarietà e fratellanza da Italiani, da Nord a Sud.

Ritornando all’articolo dell’amico Giovanni Squame, va detto che egli sta cercando di stimolare un largo dibattito sul nostro giornale, “il sudMezzogiorno d’Italia. Ciò scaturisce da una già positiva esperienza, quando era presidente del Consiglio comunale di Napoli e dirigente nazionale delle Autonomie locali. In quell’occasione, egli inizi, sulla rivista “l’informatore” delle Autonomie locali, diretta dal sottoscritto, un confronto, con il coinvolgimento di sindaci, amministratori, parlamentari, ministri, ecc.. In particolare, il dibattito si accese quando il Ministro degli Affari Regionali e le Autonomie Locali, on.  Linda Lanzillotta, unitamente al mondo delle Autonomie, con in testa l’Anci e la SPAL (Scuola della Pubblica Amministrazione Locale), 

Linda Lanzillotta

si inserì nel dibattito e rilanciò il confronto proprio sulle riforme che aveva in cantiere e, naturalmente, accese ancora di più il confronto, stimolando un raffronto reale e concreto, soprattutto tra gli amministratori. Ed ecco che gli amministratori del Sud e quelli del Nord, superando divisioni e furbizie del passato, trovavano soluzioni convergenti, perché c’era, di fatto, un patto di fiducia reciproca. Tutto si vanificò, con l’arrivo degli stravolgimenti operati  dal politichese e dagli interessi di bottega.   In effetti, l’articolo di Squame fa riferimento al sondaggio “Demos sull’autonomia differenziata”, pubblicato dal giornale “La Repubblica” che conferma, a sua volta, che il tema in questione non è di facile lettura, come  fanno apparire i Calderoli ed i governanti di turno, ma resta materia controversa tra i cittadini italiani, dal Nord al Sud. Al Nord, solo tra i leghisti riscuote maggiori consensi. Meno tra i cittadini del Centro e ancor di più non è ben vista nel Mezzogiorno e nelle isole. Tra gli elettori di sinistra è percepita come un momento di incrinatura e divisione del Paese. Ma la classe dirigente, in particolare del Sud, di fronte a tali dati, può continuare a fare una “battaglia” di così basso profilo?

Da sinistra: Gaetano Salvemini e Giustino Fortunato

Ormai, penso che il gruppo dirigente meridionale, in particolare i parlamentari che oggi sono schierati con partiti che ieri dicevano cose sgradevoli verso i meridionali, dovrebbe aprire ancora di più il dibattito, per evitare che un giorno qualcuno di questi “ex insultatori” si alzi in un’assemblea pubblica e dica: “terrone fai silenzio, perché il fatto che sei qui è già troppo, quindi cerca di non rompere…” Ciò significa, una volta per sempre, chiarire: origini, culture e modo di essere nell’Italia Unita, cosa che non è stato fatto all’indomani dell’Unificazione. La classe dirigente attuale, se davvero vuole bene all’Italia, dia una nuova svolta, molto simile allo spirito costruttivo dell’Assemblea Costituente. con al centro la “Questione meridionale”, già riproposta anche da Gaetano Salvemini e Giustino Fortunato.

Massimo D’Azeglio

Insomma, è giunta l’ora di superare la frase attribuita a Massimo D’Azeglio:   “Fatta l’Italia, bisogna fare gli Italiani”,  che allora come oggi, vuole significare che, per quanto l’Italia geograficamente e politicamente sia unita dal 1861, ancora in essa  continuano a regnare le differenze fra le regioni e la popolazione. Continua ad essere sostanzialmente un coacervo di popoli diversi, non solo per l’attaccamento a tradizioni e dialetti, ma anche per uno scarso senso di vera unità. Quindi, è giunta l’ora di creare un filo conduttore che unisca i cittadini dei circa 8 mila comuni. Insomma, bisogna suscitare amore e passione

Alessandro Barbero

fraterna tra le popolazioni della Penisola. Anche la celebrazione della “Giornata dell’Unità nazionale, della Costituzione, dell’Inno e della Bandiera”, istituita con la legge n. 222/2012, dev’essere davvero l’occasione per un abbraccio collettivo (  l’indizione di manifestazioni, da parte di una forza politica , come preannunciato, in occasione del 4 Novembre, sono fatti deprecabili). Nessuna parte del Paese accusi l’altra, come successo, in passato, quando un politico del Nord, addirittura, aveva detto che la Sicilia andava stralciata dall’Italia, perché aveva dato origine alla mafia: una cosa davvero disonorevole per lui . Per sua fortuna non aveva di fronte il prof. Alessandro Barbero, uno storico molto popolare, che ha smentito tutte queste cassandre. Egli ha dimostrato che l’origine della mafia non è siciliana, ma  piemontese-lombarda. L’imperatore Federico II, portò in Sicilia, in particolare a Corleone, un gran numero di contadini piemontesi-lombardi, per ripopolare quei comuni.(Nicola Nigro). E’ possibile ascoltare, sull’argomento, il professor Barbero, attraverso il link: https://www.facebook.com/watch/?v=678677333630190

No, all’autonomia come la sta costruendo Calderoli, perché è un gravi pericoli per l’unità del Paese e la tutela per tutti i cittadini dei servizi garantiti della carta costituzionale.

di  Giovanni Squame

Giovanni Squame

Il Ministro Calderoli prosegue sulla strada dell’attuazione di un impegno elettorale della Lega, pur scontando la freddezza del partito della Meloni e una sorta di indifferenza sorniona del partito berlusconiano. Tanto si è già discusso su queste pagine (e non solo) e dal Sud si sono levate le voci più critiche contro il disegno di legge, e una vera e propria contrarietà è stata espressa dai più autorevoli studiosi meridionali, oltre che dalle forze sindacali e da un mondo politico-istituzionale che in prevalenza si muove dentro il perimetro di centro sinistra. Intanto il provvedimento ha subito, come era prevedibile, i ritardi del lungo iter istituzionale (audizioni, commissioni, ecc), ma non ha scalfito la convinzione diffusa al Nord che tale provvedimento debba farsi e debba farsi mantenendo l’impostazione data dal Ministro: su materie di primaria importanza per l’intero paese, quali sono l’istruzione, la sanità e la tutela della salute, quest’ultima già in parte gestita dalle Regioni, le grandi reti di trasporto e la navigazione, la sicurezza sul lavoro, la finanza pubblica e il sistema tributario, e tanto altro ancora, i poteri decisionali  (legislativo ed esecutivo) vanno spostati dal centro alle singole regioni. Non è chiaro se nella strategia della lega questo è un passo nella direzione dell’indipendentismo della virtuale regione padana, ufficialmente l’obiettivo alla base dell’unificazione di vari movimenti indipendentisti del Nord, è stato abbandonato, ma ne ritornano i rigurgiti nei periodici raduni del partito, o se sia un passaggio verso forme di accentuato federalismo sul modello di altre esperienze di paesi europei. Intanto, il cammino che avrebbe dovuto prima definire i livelli essenziali delle prestazioni, i LEP, sta sfuggendo al controllo dell’opinione pubblica. Poco si sa cosa stia definendo l’apposita commissione e il tutto sembra avvenire sotto traccia, della serie meno se ne parla e meglio è. Il sondaggio pubblicato rivela che la maggioranza dei cittadini favorevoli alla maggiore autonomia regionale è esigua, poco più del 51%, molto influenzato dall’80% dei consensi leghisti, e non va sottovalutata l’incertezza che regna nella maggioranza non leghista e la netta opposizione delle forze di minoranza parlamentare. Insomma, tra silenzi del Parlamento, incertezze dell’opinione pubblica, volatilità delle convinzioni dei partiti, l’Autonomia differenziata non sembra vivere un buon momento. Questa però non è una ragione sufficiente per abbassare la guardia, e sarà utile tenere in tutto il paese una vigilanza attiva, fatta di dibattito, attenzione ai lavori parlamentari e approfondimenti degli allarmi lanciati sul rischio di accentuare le differenze tra le varie parti del paese, con il Sud che sarà ancor di più penalizzato nell’erogazione dei servizi e nella qualità degli stessi.  Il centro sinistra contrario alla maggiore autonomia come la sta costruendo Calderoli dovrà riprendere una campagna nazionale, da affiancare agli altri tempi politici e di merito collegati anche alla manovra finanziaria varata dal governo, e ai temi del lavoro e del salario minimo, che riallerti sui gravi pericoli per l’unità del paese e la tutela per tutti i cittadini dei servizi garantiti della carta costituzionale,   e a inverare l’obbligo costituzionale alla “rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori  all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”(art. 3, Cost.)

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