Serrata, miniserrata, sciopero, minisciopero, sciopero soft, sciopero spot: sono questi i titoli che accompagnano la protesta dei concessionari di stabilimenti balneari, attuata oggi sulle coste italiane. Come al solito, sono diverse le valutazioni delle percentuali di adesione. Secondo alcuni l’adesione sarebbe stata massiccia, secondo altri la protesta si sarebbe estesa a macchia di leopardo, secondo altri infine la manifestazione sarebbe stata un flop.
Il 9 agosto era il primo giorno di protesta, altri due erano stati fissati in giorni diversi, sempre nel mese di agosto. Se la vicenda non fosse seria, terribilmente seria, verrebbe da pensare, come si è pensato a una farsa. Intanto i titoli. Sono essi stessi segno delle incertezze degli organizzatori e degli organi di informazione. Vero è che non tutte le associazioni sindacali hanno aderito alla protesta. E che l’adesione è stata diversa da regione a regione: massima in Sardegna e Liguria, insignificante in Calabria, dove sembra che gli interessati non ne sapessero nulla. Poi le modalità della manifestazione.
I concessionari hanno deciso di “ritardare” l’apertura degli stabilimenti di due ore, dalle 7,30 alle 9,30, naturalmente di mattina, di prima mattina, lasciando chiusi gli ombrelloni, i lettini, le sdraio e quant’altro può ospitare un ombrellone (penso al tavolo spiegabile per la prima colazione, ma anche per la seconda). A parte l’ironia, non mi pare fuori luogo tentare di spiegare quello che è sotto gli occhi di tutti: che gran parte dei concessionari si è arricchita, e si arricchisce, per miliardi di lire, milioni di euro. Due, a mio parere, le cause ricorrenti, l’una legata all’altra.
La prima. Non c’è mai stata proporzione tra il canone di concessione (irrisorio) e il reddito (ingente) che se ne trae.
La seconda. La concessione senza termine predeterminato. Per lungo tempo concessione e stabilimento sono stati considerati un bene privato, trasmissibile addirittura di padre in figlio. E’ avvenuto così che lo stabilimento originario è stato ampliato, da uno si è passati a due, accanto allo stabilimento è sorto l’albergo, interi gruppi familiari hanno fatto fortuna. E’ Su questa causa di arricchimento che voglio qui soffermarmi. L’assenza nelle concessioni di un termine di durata.
Il termine è stato introdotto solo di recente, e variamente fissato, a seconda della legge, o del giudice che l’ha applicata. Si tratta di una vicenda intricata, fatta di appelli, ricorsi, controricorsi, proteste, tavole rotonde, manifestazioni, che sarebbe lungo enumerare. Basterà sottolineare che per i concessionari il termine sarebbe venuto a scadere nel 2033, che questa interpretazione è stata bocciata dal Consiglio di Stato, che il Consiglio di Stato (ultima istanza del giudizio amministrativo) ha ritenuto di fissare il termine al 31 dicembre 2023, ma anche questa data è passata invano.
Vero è che quella dei titolari di concessione, interessati alla proroga all’infinito, è diventata una lobby con tutti i poteri che una lobby può esercitare sugli organi politici interni e giurisdizionali europei. Anche su questi. Torno a ripetere che quella dei concessionari è diventata una lobby. E le lobby sono da sempre un serbatoio di voti. In grado di condizionare qualsiasi maggioranza. In grado di scegliere il fior fiore degli avvocati, quelli pronti a inventarsi il cavillo diretto a porre nel nulla qualsiasi decisione, qualsiasi iniziativa. Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, accusata di non avere mantenuto le promesse, pare voglia introdurre una nuova trattativa con la Commissione europea. E questo, pare, ha contentato le organizzazioni sindacali, quelle che avevano proclamato la miniserrata, che, secondo le ultime notizie di stampa, avrebbero revocato la protesta già fissata per altri due giorni del mese di agosto. Avrebbero ragione di dichiararsi soddisfatte: una trattativa, comunque si risolva, varrà a differire un termine abbondantemente scaduto. Un motivo in più perché la vicenda, tutta la vicenda, si trasformi, se non si è già trasformata, in una farsa.
Michele Di Lieto*
*Scrittore, magistrato in pensione