Gli Stati Uniti che favoriscono o no le guerre possono anche dare vita a scelte o simpatie irrazionali, che fanno trascurare anche il fanatismo di uomini come Tramp. Ma, davvero le sue amicizie con Putin e Netanyahu, possono bloccare le guerre?

L’ultimo sondaggio sulle elezioni in USA diffuso dagli organi di informazione costituisce una sorpresa.

di Michele Di Lieto*

Prima di tutti per Donald Trump, che riteneva lo Jowa un seggio sicuro, mentre il sondaggio lo dà staccato di tre punti da Kamala Harris. Non sappiamo quale sia la fonte, se si tratti di un sondaggio affidabile o meno. Non si tratterà di una fake news, perché pare che Trump lo abbia preso sul serio e sia imbestialito: certamente, l’attribuzione alla rivale di un seggio sicuro e i tre punti di distacco, se dovessero trovare conferma nei risultati elettorali, farebbero venir meno gran parte dei sogni di Donald Trump, col desiderio di rivincita dell’uomo che ritiene il successo di Biden alle passate elezioni un broglio o un furto. Dico la verità: mi dispiace. Ho scoperto che le mie simpatie vanno proprio a Trump. Non mi nascondevo fino a ieri che le elezioni in USA non lasciano molte facoltà di scelta: tra un candidato settantottenne che ha già avuto una esperienza di Presidente degli Stati Uniti, e non ha lasciato molti rimpianti, e una sessantenne che da ultimo ha ricoperto il ruolo di vice di Biden senza infamia e senza lode e, soprattutto, è priva di comunicativa. La novità, Kamala Harris sarebbe la prima donna di colore, ma non si vede troppo, a salire sul soglio di Presidente degli Stati Uniti, ed altre doti che certamente non le mancheranno, se tutto lo stato maggiore dem, Biden in testa, l’hanno appoggiata senza riserve, avrebbe dovuto orientare diversamente la mia scelta, e fino a ieri non mi sarei pronunciato né per l’uno né per l’altra. Intendiamoci. Non è che la mia decisione, confinata in una pagina di diario che nessuno mai leggerà, valga a spostare di una virgola il risultato elettorale. Certo è che, quando ho saputo del sondaggio, mi è spiaciuto per Trump: segno che nel mio inconscio già tifavo per lui. Perché? Una è la ragione, e non è di poco conto. Donald Trump è contro la guerra: sicuramente contro la guerra russo ucraina (per via di certi rapporti personali con Putin, mai completamente chiariti), e potrebbe diventarlo anche contro la guerra israelo palestinese, se solo facesse venir meno l’appoggio finanziario a Israele concesso senza risparmio da Biden. Kamala Harris, invece, non promette nulla di nuovo, e seguirà pedissequamente la politica di guerra di Biden, alimentata dalla Nato, dall’Unione Europea, da tutti quelli che vogliono un solo grande Stato israeliano che faccia da baluardo alle aspirazioni americane verso quella parte del mondo. Non mi nascondo che le mie possano essere solo speranze che non troveranno conferma nella realtà. Trump si è dichiarato a favore di Israele, e io non so se veramente farà venir meno uomini e mezzi concessi da Biden a Netanyahu, ben sapendo che una svolta del genere comporterebbe un distacco dalla potente, potentissima lobby delle armi che in America ha condizionato in passato, e continua a condizionare, le elezioni presidenziali. In ogni caso una guerra, quella russo ucraina, se vince Trump dovrebbe cessare, e questo dovrebbe appagare le speranze di mezzo mondo, se si tien conto delle conseguenze, non solo finanziarie, che ogni guerra comporta. E questa è in fondo la ragione, l’unica, che possa avere orientato le mie simpatie. Per il resto, l’ho accennato, non ci sono grandi differenze tra l’uno e l’altra candidata alla Casa Bianca.  Entrambi, Donald Trump e Kamala Harris, fanno sfoggio di una ricchezza di mezzi, di uno sperpero di danaro senza uguali: e non si tratta di milioni, ma di miliardi di dollari che, se diversamente investiti, potrebbero alleviare la fame nel mondo, quella fame che spinge milioni di persone a migrare verso i paesi più ricchi. Ma anche in questo io non trovo grandi differenze tra i programmi dell’uno e dell’altra. E’ vero che Trump ne ha fatto uno dei cavalli di battaglia della sua campagna elettorale. “Se verrò rieletto deporterò gli illegali fino all’ultimo uomo”: così ha dichiarato il tycoon statunitense. Ma neppure i democratici se ne sono stati nell’ultimo anno con le mani in mano. Lo stesso Biden, prima di abbandonare la decisone di candidarsi alle presidenziali, ha adottato misure assai restrittive nei confronti dei migranti irregolari, soprattutto nei confronti dei migranti provenienti dalle regioni meno ricche dell’America latina, dal Messico in particolare. Oggi c’è Kamala Harris e non c’è da dubitare che la stessa candidata alla presidenza segua le orme di Biden. Detto fra noi: io mi auguro che le due politiche, quella repubblicana e quella democratica in materia di migrazioni, che sono oggi assai più somiglianti che in passato, abbiano entrambe a fallire. Per uno come me, che ritiene il fenomeno immigratorio inarrestabile, almeno fino a che resteranno intatte le condizioni di diversità che spingono i più poveri ad emigrare nei paesi più ricchi, è così, e non può essere diversamente. Dovrebbero ben saperlo gli americani, che hanno costruito le loro fortune sulla pelle prima dei neri, poi  dei bianchi, anche italiani.

*Magistrato in pensione e scrittore

 

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