Negli Stati Uniti, in Italia, nel mondo intero. Tornare alle origini, per difendere i deboli, i miseri, gli immigrati, gli sfruttati, che da sempre hanno costituito il bacino elettorale del popolo di sinistra, ingiustamente abbandonato.
di Michele Di Lieto*
Ha vinto Trump. Una vittoria che ha travolto tutto e tutti, una vittoria colossale che affonda le sue radici nella pancia del popolo americano, senza distinzioni di sorta, uomini e donne, bianchi e neri, cristiani e musulmani, allineati e non allineati. Una vittoria che ha messo a nudo per l’ennesima volta i limiti dei sondaggi, di qualsiasi sondaggio, travolti anch’essi da un risultato imprevisto, impensabile fino a qualche giorno fa, proprio per via di previsioni, fondate su calcoli di probabilità, smentiti dal risultato.
Così ha vinto Trump. Hanno vinto le sue promesse (farò cessare tutte le guerre), le sue parole d’ordine (farò tornare grande l’America), i suoi messaggi (sarà la nuova età dell’oro) che hanno fatto presa sulla pancia dell’elettore comune. Ha perso Kamala Harris.
La candidata dem ha pagato lo scotto della politica fallimentare di Biden (ma era anche la sua, essendo stata Vice Presidente con Biden), fondata sulle guerre, sulle spese militari, sull’economia disastrata, sull’inflazione galoppante, sulla forbice sempre più ampia tra ricchi e poveri, ma ha pagato anche lo scotto di lacune personali, non essendo stata capace di inventarsi qualcosa di nuovo, non avendo carisma, e non essendo dotata neppure di efficacia comunicativa, ridotta a un eterno sorriso in contrasto con la serietà degli argomenti che avrebbe dovuto affrontare. Il fatto è che non si può condurre una campagna elettorale fondata su improperi: contro Trump è stato detto di tutto, che è razzista, fascista, nazista, xenofobo, misogino, un criminale (ancor oggi la grande stampa americana, il Washington Post, parla di primo criminale alla Casa Bianca) senza però che la Harris facesse proposte concrete, o puntasse sulla campagna di stampa che proprio sulle condanne e sui procedimenti a carico dell’uno aveva puntato chiaramente sulla vittoria dell’altra. Il guaio è che prima, prima delle elezioni, nessuno aveva denunciato carenze nella campagna elettorale di Kamala Harris. Tutti si pensava che potessero bastare gli epiteti lanciati contro l’avversario, i larghi sorrisi, gli abbracci della candidata, e sarebbe stata la prima donna a varcare la Casa Bianca, per vincere la partita. Persino chi come me sperava che il successo di Trump avrebbe accelerato la pace nella guerra russo ucraina, pensava a una battaglia combattuta palmo per palmo, a una vittoria sul filo di lana. Invece no.
La vittoria di Trump è stata un successo eclatante, la sconfitta di Kamala un tracollo evidente. Certamente, la vittoria di Trump avrà influenze sugli equilibri esistenti, segnerà un travolgimento nella politica internazionale. Dovranno rivedere le loro posizioni il Cancelliere tedesco, il Primo Ministro inglese, il nostro Capo del Governo, e tutti coloro che avevano negli Stati Uniti di Biden la stella di riferimento.
In particolare, Giorgia Meloni, Capo del nostro esecutivo, che dovrà guardare alle finanze dissestate del nostro Paese non più con l’occhio di chi sa di poter contare sempre e comunque sull’aiuto degli americani, ma con l’occhio severo di chi sa che non potrà più fare debiti all’infinito. Ma dovranno in Europa rivedere le loro posizioni anche gli Enti legati a piè pari con la politica di Biden: parlo dell’UE, della NATO, della Banca centrale europea, di tutti coloro che hanno fatto a gara per entrare nel giro di Biden e della sua politica fallimentare.
Per procedere a questo rivolgimento epocale Trump non dovrebbe avere difficoltà. La sua vittoria è stata così massiccia, estesa com’è alla Camera e al Senato americano, in modo da evitare fughe, resistenze, opposizioni, sempre possibili quando il Presidente non appartenga allo stesso Partito che governa Camera e Senato. Con la vittoria di Trump questo non può succedere, tanto più che la Corte suprema ha di recente sancito l’immunità del Presidente per fatti commessi a causa delle sue funzioni: e la sentenza, del luglio di quest’anno, ha sicuramente spianato la via alla corsa alla Presidenza e al successo elettorale di Donald Trump. Può dirsi insomma che il nuovo Presidente accorpa in sé, oltre all’esecutivo e al legislativo, e questo rientra nella fisiologia del sistema, anche le simpatie del potere giudiziario, quanto meno della Corte suprema, legata alla nomina (a vita) dei giudici singoli, alcuni dei quali, da sempre conservatori, sono stati nominati dallo stesso Presidente durante il precedente mandato presidenziale. Neppure dovrebbe avere difficoltà il nuovo Presidente sotto il profilo economico, da che, già ricco di suo, si è assicurato l’appoggio (e non solo l’appoggio, ma la partecipazione attiva) alla campagna elettorale di Elon Musk, il primo miliardario del mondo, un vero genio della finanza, fondatore della Tesla, la multinazionale delle auto elettriche e dei pannelli solari, che ha scoperto quel che da tempo si sapeva, che la campagna elettorale del partito conservatore è finanziata dalla grossa industria, ed è lecito prevedere che da oggi in poi la stessa politica economica degli Stati Uniti sarà influenzata dagli interessi di Musk, vero è che, con questi rivolgimenti politico istituzionali, che toccheranno sicuramente gli aspetti più vistosi dell’economia americana, esiste il pericolo che cambi forma la stessa democrazia statunitense, con un Presidente che assume tutti i poteri, l’esecutivo e il legislativo, senza più freni, senza più pesi e contrappesi (Presidente da un lato, Camera e Senato dall’altro) che ha caratterizzato negli ultimi vent’anni il sistema americano. Non solo quello americano, ma il sistema democratico dei paesi occidentali. Prendiamo ad esempio la nostra democrazia. Solo uno come me, che per ragioni di età ha vissuto Costituzione alla mano, può essere ancora attaccato alla vecchia costituzione. Non senza accorgersi che la Costituzione diventa ogni giorno più vecchia. Il sistema di governo disegnato dai Costituenti prevedeva una rigida contrapposizione tra l’esecutivo e il legislativo, col Presidente della Repubblica al di sopra delle parti, come organo supremo di garanzia. Ma la prima è venuta meno da che la forma ordinaria di legiferare è diventata il decreto, riservato dai costituenti all’esecutivo per casi di necessità e di urgenza. E la stessa carica di Presidente è soggetta a strappi fra chi vorrebbe accrescerne i poteri, fino a farne diventare un Presidente “imperiale”, e chi vorrebbe ridurli a mera forma, tutti i poteri essendo esercitati dal premier, capo dell’esecutivo. Vero è che l’idea stessa di democrazia, quella che abbiamo conosciuto, accentua la sua crisi in seguito all’esito delle elezioni americane. Perché il sistema di pesi e contrappesi può funzionare là dove esistono nella società prima che nelle istituzioni, non quando le forze sociali perdono ogni identità, non esiste più una maggioranza, non più una opposizione, e la politica tutta diventa una torre di Babele nella quale non ha più senso parlare di destra o di sinistra. Questa è la lezione che viene dal successo di Trump, al quale non hanno contribuito solo le forze di destra che sono da sempre il serbatoio di voti riservato ai repubblicani, ma anche, e in maniera vistosa, i poveri, i diseredati, gli immigrati, che da sempre costituivano il serbatoio di voti riservato ai democratici. Questo è avvenuto in parte anche in Italia, dove la Meloni raccoglie simpatie non solo nei partiti di destra, ma anche in quelle masse di elettori che, non sentendosi più rappresentati dagli eletti, o non vanno più a votare, o votano per la destra essi stessi. Questo è il campanello di allarme che squilla, a mio avviso, per le forze di sinistra.
Negli Stati Uniti, in Italia, nel mondo intero. Tornare alle origini, per difendere i deboli, i miseri, gli immigrati, gli sfruttati, che da sempre hanno costituito il bacino elettorale del popolo di sinistra, ingiustamente abbandonato. Accettare la sfida con gli uomini di potere che governeranno Italia e Stati Uniti. Con proposte serie, non con anatemi. C’è ancora tempo? O è già troppo tardi?
*Magistrato in pensione e scrittore