La Violenza giovanile e il mondo degli adulti, sempre più separato dal mondo dei figli, con la coppia che spesso confonde il rapporto filiale con quello amicale, mentre la madre deve essere madre, non l’amica della figlia, e il padre deve essere padre, non il confidente del figlio.
di Michele Di Lieto*
Violenza giovanile. A Napoli, o nel napoletano, 3 fatti di sangue in 17 giorni. Protagonisti, coinvolti nella violenza, da parte della vittima o dello sparatore, minori di età, in un solo caso un 19enne, ma un anno in più o un anno in meno non sposta il fenomeno.
Che resta grave, è inutile nasconderlo. Tre giovani vite spezzate, chi ha ucciso neppure adolescente, e questo in poco più di due settimane, è fenomeno da non sottovalutare. Sostiene qualcuno che la violenza giovanile non è solo partenopea, attecchisce anche altrove, nella periferia di grosse città come Milano, come Genova. E sarà vero. Solo che le differenze sono notevoli: al nord l’arma più usata è il coltello, al sud la pistola, al nord non si sente l’influenza di associazioni criminali organizzate, al sud ogni giovane delinquente è un piccolo boss, o aspirante tale, e diversa è anche la natura dei delitti, che al nord non vanno di là dal furterello o dalla piccola rapina, mentre al sud si estendono all’associazione mafiosa, all’omicidio, alla detenzione e allo spaccio di droga.
Vorrei infine notare che al nord nella criminalità minorile confluiscono sempre più stranieri, mentre al sud la partecipazione di migranti ai gruppi criminali è pressoché irrisoria.
Questa nota, naturalmente, si fermerà all’analisi della violenza indigena, non interessata dalla partecipazione di migranti, partecipazione che costituisce un capitolo a parte. Quali dunque le cause della violenza giovanile, quella della nostra regione, quella di Napoli, dove gli episodi più gravi si sono verificati al centro, nel cuore della città vecchia, o nelle aree di periferia, già tristemente famose per infiltrazioni mafiose. Non sono pochi gli studiosi che, analizzando le cause del malessere giovanile che si traduce in forme di violenza, attribuiscono la criminalità dei minori alla pandemia da Covid, come alla pandemia fanno risalire un altro fenomeno cresciuto negli ultimi tempi in maniera esponenziale, parlo qui della depressione giovanile che spesso colpisce anche bambini in tenera età.
Sembrerebbe che tra depressione e violenza giovanile non vi sia nesso: eppure il filo c’è, anche se tenue, non proprio evidente. Il fatto è che la pandemia, e i primi rimedi sperimentati, i lockdown, hanno accresciuto quel senso di isolamento, di abbandono, di esclusione, già presenti nella popolazione giovanile, che provocano assai spesso l’adesione al gruppo, anche quello criminoso, e sfociano in atti di violenza.
Di chi la colpa? Non sembra dubbio che la colpa più grave sia della famiglia, anzi della distanza sempre più evidente tra il mondo degli adulti e quello dei giovani. Il mondo degli adulti, sempre più separato dal mondo dei figli, con la coppia che spesso confonde il rapporto filiale con quello amicale, mentre la madre deve essere madre, non l’amica della figlia, e il padre deve essere padre, non il confidente del figlio.
Questa confusione di ruoli genera la fragilità del concetto stesso di famiglia, e il figlio, i figli, restano ancora più soli, abbandonati a se stessi, senza punti di riferimento necessari sopratutto nell’età dello sviluppo. Questo per non parlare delle coppie separate o divorziate, e della disgrazia che si abbatte sul capo dei minori quando, per esempio, il figlio in tenerissima età viene affidato alla madre, e cresce senza riconoscere il padre che riesce a vederlo, quando riesce, una volta ogni due settimane, una volta ogni tre. O non riconosce neppure più la madre quando viene affidato a un centro di accoglienza per minori, padre e madre ciascuno per suo conto in altre faccende affaccendati.
Passiamo alla seconda causa della violenza giovanile. La scuola. La scuola che noi abbiamo conosciuto fondava sulla famiglia il primo supporto di educazione sociale. Ma oggi la famiglia non c’è più, o è sparita, o poco disposta ad assumere il compito di comunicare, di trasmettere le conoscenze acquisite, che richiede prima di tutto passione e amore. In ogni caso la scuola di oggi non è quella di un tempo in cui godeva di prestigio, autorità e competenza.
Oggi, assai spesso, la scuola è fucina essa stessa di violenza. Violenza tra giovani o giovanissimi (l’ultimo esempio viene dalla dodicenne romana che ha accoltellato un compagno di classe accusato di aver fatto la “spia”); violenza dei giovani contro l’insegnante (l’ultimo esempio viene da Cagliari, dove un alunno quindicenne, rimproverato per avere fatto uso del cellulare, ha reagito lanciando una sedia contro la docente, rimasta ferita).
Il guaio è che oggi è cambiato anche il rapporto tra genitori (almeno quelli che si dovrebbero interessare) e insegnanti dei figli, che dovrebbero insieme collaborare alla crescita del giovane, e invece vedono ogni giorno di più schierati i genitori a favore dei figli.
E qui non posso fare a meno di un ricordo personale. Io sono stato alunno di mio padre, insegnante elementare, e ricordo come fosse ieri che qualche madre, avendo saputo della lavata di capo fatta al figlio, veniva a scuola, persino a casa nostra, per ringraziare mio padre della lavata di capo, sollecitandolo a fare qualcosa di più, due ceffoni: tutto questo alla presenza del figlio. Vallo a dire ai genitori di oggi. Si farebbero (quanto meno) una risata, e direbbero: i tempi sono cambiati, dove vorresti tornare tu, con gli anni che porti? Sì, i tempi sono cambiati, non in meglio. E non tutto è colpa degli insegnanti che, oltre alla professione, debbono badare a tanti altri problemi di vita, ridotti come sono a uno stato di quasi miseria, con uno stipendio da fame, mentre i ricchi si fanno più ricchi, i poveri sempre più poveri.
E tuttavia, anche per lanciare un messaggio di speranza, pure la scuola di oggi, dissestata com’è, può fare qualcosa per comprendere e infrenare la violenza giovanile. Parlo non solo delle attività extracurricolari organizzate col concorso di esperti, insegnanti, psicologi, psichiatri, ma anche all’interno della didattica tradizionale con argomenti che riflettono valori fondamentali, come il bene comune, la distinzione tra ciò che è bene e ciò che è male, la sacralità della vita.
Passiamo ad altro, non potendo ridursi la violenza giovanile alle cause di cui ho parlato, il fallimento della famiglia e della scuola. Ve ne sono altre, anch’esse rilevanti.
La droga. Circola purtroppo nei giovani, anche nei giovanissimi. Dappertutto, anche nei paesi da Cristo si è fermato a Eboli (e ce ne sono, ci sono tuttora). E costa, costa sempre di più. Fino a che bastano, soccorrono le finanze degli adulti. Superato quel limite, i giovani ricorrono alla violenza, al delitto, a cominciare dal furto per finire allo spaccio di stupefacenti. Che determina la fine del circolo vizioso che parte dalla droga (che si consuma) alla droga (che si spaccia). Ma, accanto alla droga, occorre citare i social network che possono amplificare la violenza e avere effetti psicologici negativi, così come possono avere effetti negativi alcuni serial televisivi dove la violenza occupa il primo piano né più né meno che i processi paralleli e gli stessi notiziari dei telegiornali infarciti di scene violente assai pericolose per il pubblico più giovane. Come appare evidente, la devianza minorile è un fenomeno dalle molteplici facce, l’una collegata all’altra: e non è facile combatterla se si sconfigge l’una e non l’altra. Pare che le autorità di governo vogliano affrontare il problema, chiamando a contribuire anche scienziati di fama. Non basta. Occorre avere chiara la consapevolezza che occorrono fondi. Prendiamo ad esempio la famiglia e la scuola.
Come si fa ad affrontare i problemi della famiglia con cinque milioni di poveri disoccupati o sottoccupati e sfruttati?
E come si fa ad affrontare i problemi della scuola, a partire dalla formazione dei docenti, che non può essere realizzata gratis et amore dei, per finire alla retribuzione necessaria a restituire dignità e autorevolezza a una categoria ingiustamente abbandonata.
Occorrono fondi, e non ci si può illudere che problemi di questa natura si possano risolvere da soli. Né si può continuare a tagliare alcuni fondi, sempre gli stessi, per destinarli ad altre finalità (la guerra, le guerre) che sono contrarie agli interessi della nazione e vietate dalla Costituzione.
*Magistrato in pensione e scrittore