Gli avvocati Franco Miglino e Domenico Amatucci, scrivono sul libro di Michele di Lieto

Il libro di Michele di Lieto, “La Casa sul Poggio”, ha suscitato molta attenzione degli addetti ai lavori e non,  forse perché è un romanzo storico, forse perché i personaggi sono intriganti, forse, forse, forse,…  ma il fatto sta che intorno ad esso si è aperto un grosso dibattito.

Per questo vogliamo stimolare ulteriormente il confronto riportando altri contributi di persone culturalmente “attrezzate”.

Qui di seguito pubblichiamo gli interventi dell’avv. Franco Miglino e dell’avv. Domenico Amatucci.

“Fra poco lo zio Santoro aprirà la porta – pensò ‘Ntoni, – e si accoccolerà sull’uscio a cominciare la sua giornata anche lui… Ora è tempo di andarmene, perché tra poco comincerà a passare gente”. Ma il primo di tutti a cominciare la giornata è stato Rocco Spatu.

(G. Verga – I  Malavoglia)

“A chi chiedesse se fu giustizia, chi scrive risponderebbe, per chiudere il suo scritto: sì, la giustizia dei poveri cristi”

(M. di Lieto – La casa sul Poggio)

“Sunt lacrimae rerum”

(Virgilio, Eneide, Libro I)

Quando ho letto il titolo del libro di Michele di Lieto è stato istintivo ricorrere con la memoria ad un Grande della narrativa italiana, Giovanni Verga (il mio primo grande amore letterario) ed alla “casa del nespolo”: anche questa volta le vicende di una casa (nel senso di abitazione umana) l’avrebbe fatta da filo conduttore per la storia di una famiglia.

La Casa sul Poggio. L’ho letto. Il respiro è ampio. Per me che da tanto seguo le perfomance letterarie dei Fratelli di Lieto (Giannino si fa fatica a seguirlo: vola troppo in alto e ho potuto ancor più confermare questo mio giudizio quando, alla sua commemorazione, cui mio figlio ha avuto il piacere di partecipare, ho avuto una sintesi quasi completa della sua opera poetica).

Conosco il narratore di Lieto e lo trovo cambiato. Al passo con i tempi? Non so. Certo è che non si accontenta del passato e non sfugge al presente con uno stile che coinvolge e collega.

Tentare una sintesi di questo libro è assurdo e presuntuoso.

Siamo in un’epoca dove tutti sembra non possano vivere senza scrivere almeno un romanzo (uomini “pubblici” e soprattutto politici li senti ogni giorno pubblicizzare per televisione il “loro” romanzo. Non saprò mai se sono sullo stesso piano della loro politica (certamente non leggerò mai i loro libercoli: non leggo per principio nessun vincitore del Premio Strega).

Michele di Lieto è scrittore di collaudata esperienza narrativa. Ma questa volta ha coinvolto un “Popolo” e lo ha fatto bene (cosa che gli è connaturale). Bisogna leggerlo. Fatelo. Non è facile, ma ne vale la pena.

Per quanto mi riguarda posso solo congratularmi con l’Autore ed essere lieto? (non lo so), che in mezzo a questo “Popolo” – che fa entrare a buon diritto nella Storia – ci sono pure io.

Franco Miglino (avvocato)

_____________________

La casa sul poggio, l’ultima fatica letteraria di Michele Di Lieto, il magistrato scrittore votato alla narrativa, è un romanzo maturo per densità di pensiero e varietà di contenuti; che tuttavia, a dispetto dell’età dell’autore, si segnala per originalità di temi e freschezza di stile, e sembra, almeno così ci auguriamo, un punto di partenza piuttosto che un punto di arrivo.

Apparentemente, La casa sul poggio ripercorre la storia di una casa e la storia di una famiglia attraverso i secoli, dal seicento fin quasi ai giorni nostri. Si è parlato di Storia e storie, di storia vera e storia falsa, di libro metà saggio metà romanzo, di romanzo storico. Il fatto è che un libro complesso e completo com’è La casa sul poggio si presta a più livelli di lettura, e ogni interpretazione coglie nel segno, a seconda dell’angolazione visiva di chi scrive.

Un aspetto non sufficientemente esplorato sembra però quell’insistere dell’autore in confronti e analogie, quel riportare costante la Storia nel tempo a tempi più recenti, ai tempi in cui si vive. Intendiamoci: non è una novità, soprattutto per i romanzi storici non è una novità. Anche i Promessi Sposi sono, almeno per lungo tempo così si è ritenuto, un affresco della storia del seicento riportata ai tempi dell’Autore, la dominazione spagnola come allegoria della dominazione austriaca. E’ lo stesso Manzoni ad autorizzare una interpretazione del genere quando si lascia sfuggire, e non è vero che gli sfugga: “Così va il mondo, o almeno così andava nel secolo decimo settimo”. Solo che ne La casa sul poggio questo motivo non si coglie tra le righe, ma è una costante della narrazione. A partire dalle prime pagine, dal racconto del naufragio de La Porta celeste, là dove l’Autore, a proposito di chi è morto e chi è vivo, e sono vivi i suoi protagonisti, del “perché tanti morti e proprio loro erano salvi”, si lascia andare al primo confronto esplicativo, affermando senza mezzi termini che “questi sono interrogativi rimasti irrisolti anche ai tempi nostri, interrogativi che si ripropongono ad ogni carretta che naufraga, e sono tante nel mare di Sicilia”. Per finire alla quarta parte, che è una vera e propria denuncia di quello che lo stesso autore definisce cinismo del potere, l’eterna ingiustizia che affligge i “poveri cristi”. Si segua la vicenda di Antonino, un romanzo nel romanzo, travolto e sbattuto da un ufficio all’altro, dalla cassa al geometra, dal geometra all’ingegnere, dall’ingegnere al geologo, dal geologo al sondaggista, dal sindaco all’avvocato, dall’avvocato al tecnico e al notaio, tutto questo per riattare un edificio malandato. Un romanzo nel romanzo che descrive nient’altro che gli eccessi di certa burocrazia: “dalla Soprintendenza all’Ente parco,  dall’Ente Parco alla Autorità di bacino, dalla Commissione grandi opere alla Commissione grandi rischi”. Una vicenda che dovrebbe far riflettere i politici, a partire dal Ministro per la semplificazione, se è vero, come è vero, che di semplificazione ha bisogno il nostro Paese, per eliminare lacci e lacciuoli che costituiscono la prima fonte di corruzione, e si abbattono sulla vita dei cittadini, sempre più spesso ridotti a “poveri cristi”.

Un altro aspetto che caratterizza questo romanzo è il ricorso insistito a temi più propriamente giuridici, che hanno, od hanno assunto, anch’essi valore di attualità. Certo, l’Autore non poteva immaginare, quando ha scritto, quante polemiche avrebbe  provocato  una norma, inserita in un decreto legislativo adottato su delega dell’Unione europea “a tutela del consumatore”, che sembra eliminare il divieto del patto commissorio sancito dall’art. 2744 del codice civile e che, se pure dovesse configurare qualcosa d’altro, certamente non sarebbe dettata “a tutela del consumatore”. Fatto sta che nella terza parte de La Casa sul poggio Michele Di Lieto imbastisce un processo fondato proprio sul patto commissorio: un processo affidato a un giudice coraggioso, caratterizzato da veri e propri colpi di scena e che, una volta tanto, segna il trionfo dei “poveri cristi”.

Non è il solo caso: perché nella prima parte l’autore tratta un processo contro il Banco di Sant’Eligio, che è un processo contro lo strapotere dei ricchi, contro il quale si scontra il “povero cristo”; e nella quarta inserisce una denuncia di nuova opera, temeraria e infondata, strumentalmente adoperata da “poveri cristi”contro “poveri cristi”. Ma questo dei temi giuridici non deve spaventare. Perché Michele Di Lieto è sempre lì a chiarire, a interpretare, a guidare per mano anche i non addetti ai lavori, a distinguere giudici da giudici, avvocati da avvocati, a mettere in guardia contro i guasti che toccano “agli umani”, “quando la giustizia viene piegata a fini di ingiustizia”. E se questo non bastasse, c’è lo stile: che non è una novità, e rimane lo stesso, piano, accessibile e sicuro, sia che si tratti di arte e di natura, sia che si tratti di storia e di diritto. Uno stile, è stato detto, che si fonda sotto il profilo formale sulla ripetizione della parola chiave, che diventa elemento di congiunzione tra il pensiero che precede e quello che segue (Anna Milite). Uno stile che induce, quasi costringe il lettore a seguire l’autore di periodo in periodo, di capitolo in capitolo, sino alla fine (Anna Milite, Marcello Alfinito).

Domenico Amatucci (avvocato)

About Redazione