Da tempo non vedevo il mio amico Gennaro D’Alessio, cofondatore del Caseificio Rivabianca, a Capaccio Paestum. Nell’occasione, mi ha regalato un suo libro che ricostruisce la storia della sua famiglia. La famiglia D’Alessio è stata la prima a produrre il cosiddetto “oro bianco”, cioè la mozzarella, un formaggio straordinario, apprezzato in tutto il mondo. Oggi, a Capaccio Paestum sono molti i caseifici, ma la Rivabianca continua a produrre mozzarella, conservando le sapienze e i sapori di circa due secoli fa. A tal proposito, nel libro viene richiamato un documento, datato 19 dicembre 1854, che attesta l’invio, da parte di Gennaro D’Alessio ad un certo Giacomo Castellano a Napoli che, a sua volta, con una lettera, ringrazia l’amico per i pregiati doni, evidenziando di aver ricevuto due “spo
rtelle di frutta secca e quattro mazzi di mozzarella” ( la mozzarella veniva avvolta in una particolare erba, la mortella. Oggi, viene conservata nell’acqua di filatura, detta anche liquido di governo). Il Caseificio Rivabianca, oltre ad essere seguito dall’occhio clinico di Gennaro D’Alessio, si avvale dell’opera attiva del figlio Riccardo, che è riuscito a coniugare, con il papà, il passato, il presente e il futuro. Anche grazie alle nuove tecnologie che Riccardo sa maneggiare egregiamente, con il suo maestro casaro, Michele Galardi.
Ovviamente, ho letto il libro e l’ho trovato non solo ricco di fotografie e spunti che fanno molto riflettere, su cosa è stato il nostro Mezzogiorno, ma anche dei riferimenti alle capacità di tanti imprenditori del Regno delle due Sicilie che. da zero, riuscivano a mettere su imprese che, dopo un iniziale sviluppo, nel corso degli anni dell’Italia unita, si sono molto indebolite. Gennaro D’Alessio lo spiega molto bene.
“ La storia della mia famiglia D’Alessio di Capaccio Paestum” è il titolo del volume, presentazione Angelo Nicola Belmonte, che, oltre a ricostruire una dinastia, partendo dall’insediamento del capostipite, Giulio D’Alessio (1610- 1665), medico (la causalità vuole che il papà di Gennaro, Giuseppe, praticasse la stessa professione), mette a fuoco l’economia e la condizione di vita delle popolazioni, soprattutto di quelle alle dipendenze dei latifondisti. Un fatto non secondario che nella famiglia D’Alessio ci sia la presenza di professionisti, laureati in medicina. Infatti, Gennaro D’Alessio, nel suo libro, si sofferma sulla salute dei cittadini dell’epoca fino all’’800, evidenziando che la vita media si aggirava sui 40 anni. Con la scoperta della penicillina nel 1929, da parte del batteriologo scozzese Alexander Fleming (Lochfield, Scozia, 1881 – Londra 1955) , che gli fruttò il premio Nobel per la Medicina nel 1945, fu introdotta la prima e vera arma dell’uomo nei confronti delle malattie infettive, per cui la vita umana si allungò di molto.
Dopo avere descritto minuziosamente le origini della famiglia, nell’ultima parte l’autore si sofferma sulla crisi dell’agricoltura in Italia, facendo un parallelo con l’agricoltura della Germania.
In effetti, l’autore dimostra che anche nella modernità era possibile mantenere anche in Italia, come in Germania, i meccanismi gestionali dei terreni o dell’agricoltura, così come avveniva un tempo con le famiglie patriarcali, contrassegnate da una rigida separazione dei ruoli fra i suoi membri, sulla base del sesso e dell’età, e da relazioni di autorità fortemente squilibrata fra marito e moglie, genitori e figli, suocere e nuore.
Per Gennaro D’Alessio, la grandezza dell’azienda di famiglia, la sua produttività e la progressiva ricchezza è stata evidente fino a quando a gestire il tutto era il nonno Gennaro; quindi l’unità della proprietà, dopo tutto, è cambiato con la sua scomposizione.
Quando “ la famiglia D’Alessio nel volgere di dodici generazioni, dal 1550 al 1975, ha saputo – scrive nel suo libro Gennaro – sempre accrescere la sua azienda trasferendola ingrandita e mai diminuita alla generazione successiva, ma soprattutto tenendola sempre unita. Dagli avi più lontani a nonno Gennaro, per più di quattrocento anni, tutti hanno conservato indivisa e sempre più grande la proprietà aziendale. È stata in ogni tempo osservata la regola ferrea: ‘Dividi ricchezza e diventa povertà’. Per secoli quando si sposavano le figlie gli veniva assegnato in dote un patrimonio liquido pari alla quota di loro proprietà, ma mai una parte di beni immobili che restavano sempre tutti in famiglia “.
Ancora, aggiunge: “Oggi in tutta l’Europa un ‘azienda agricola è equiparata ad una società industriale e sono rette da consigli di amministrazione e sono indivisibili. In Italia invece le aziende agricole con le successioni vengono praticamente divise all’infinito fino a che non reggono più il mercato e scompaiono. Il vero problema – Continua Gennaro – dell’agricoltura oggi in Italia è la enorme divisione fondiaria, provocata dalle successioni, che impedisce di fatto la formazione di aziende forti capaci di competere sul mercato europeo ed extraeuropeo. Negli altri paesi europei la superficie aziendale agricola media è tra 50/70 ettari, in Italia siamo a 6 ettari e nel meridione scende a 3 ettari”.
Inoltre, Gennaro D’Alessio evidenzia anche che in Germania, se un proprietario ha 100 ettari e 4 figli, alla sua morte, gli eredi non dividono l’azienda agricola in quattro parti, pari a 25 ettari ciascuno, ma essa resta indivisa e tutti continuano a lavorare nell’azienda. Chi non vuole farlo, incassa i dividenti e viene liquidato per la sua parte.
In tutto questo, va detto che questo era il suo sogno, ben descritto, con un esempio tedesco, nel libro, che qui di seguito riportiamo: “ … la famiglia D’Alessio, alla luce del senno di poi e di quello che ho scritto prima, senza dare la colpa a nessuno e soprattutto senza inutili rimpianti, io oggi, al primo giugno 2020, penso che il giorno dopo il funerale del grande nonno Gennaro tutti i figli avrebbero dovuto riunirsi e formare una bella società agricola : “Società Agricola Eredi Cav. Gennaro D’Alessio” intestata a tutti con un consiglio di amministrazione, un rappresentante legale, bilanci annuali e con un ottimo commercialista. Questa Società avrebbe continuato ad espandersi cd innovare in ogni campo, seguendo le orme dello scomparso nonno Gennaro.”
In effetti, quello che dice Gennaro D’Alessio è quantomai vero, perché l’Italia è stata mal governata, soprattutto in questi ultimi 30 anni, in particolare nel Sud. Oltretutto, anche la riforma agraria (legge 756/64), che prevedeva il divieto dei contratti mezzadrili dal 1974, aveva anche lasciato molte cose in sospeso, come l’esproprio coatto e la distribuzione delle terre ai braccianti agricoli, rendendoli piccoli imprenditori e non più sottomessi al grande latifondista che li sfruttava e li faceva vivere nella miseria. Secondo il ragionamento di Gennaro d’Alessio, la Riforma li ha resi vulnerabili alla grande finanza, alla “Grande proprietà terriera”, con l’agricoltura intensiva, e ad altri paesi, soprattutto del Mediterraneo.
In effetti, il frazionamento ulteriore di una proprietà ha significato anche povertà, perché se il podere di 8 a 12 ettari, dava da mangiare in precedenza ad una famiglia anche se numerosa, successivamente, la sua parcellizzazione ha fatto regredire la produzione agricola, favorendo soltanto la tendenza a sfruttare i piccoli appezzamenti per costruirsi la villetta in campagna, da parte di chi non aveva interessi diretti nel settore (molti esempi sono presenti nella Piana del Sele).
Con la legge n. 203 del 1982 qualcosa cambia, perché la norma fu pensata per garantire l’integrità e la continuità dell’azienda agricola (cioè del podere), alla morte del titolare. In merito è l’art. 49 a prevedere che la conduzione dei fondi, anche per le parti spettanti per successione agli altri coeredi, sia l’erede che abbia esercitato e continui ad esercitare l’attività agricola sul terreno alla data di apertura della successione.
Purtroppo, tutto questo non è sempre successo, soprattutto prima della legge 203/82, per cui il Sud debole è diventato sempre più debole, con un’agricoltura spazzata via e con essa anche le zone interne si sono spopolate: niente economia e sviluppo territoriale con una grande emigrazione nei centri urbani.
A proposito dello sviluppo possibile e dello spopolamento, mi sono già soffermato su questi temi, in occasione dell’elezione a Presidente dei Coltivatori Diretti di Salerno, Ettore Bellelli, adesso Presidente regionale della Coldiretti. In quell’occasione, scrivevo: << Oggi, i Comuni interni si spopolano giorno dopo giorno, per cui il patrimonio culturale e storico di questi antichi borghi, ricchi di storia, bellezze naturalistiche e sapienza enogastronomica, si sta perdendo nel tempo. Purtroppo, antiche abitazioni, chiese, case gentilizie, il più delle volte, cadono a pezzi, senza che nessuno faccia qualcosa, nella direzione di un recupero intelligente, nel rispetto della storia e della tradizione locale. Eppure, tutto è in controtendenza con le idee di intercettazione dei cosiddetti “flussi turistici” Ma come si possono intercettare questi turisti intelligenti, alla ricerca di ambienti incontaminati e lontani da un consumismo selvaggio e di scarso respiro, se non si mette un freno agli esodi, attraverso progetti di recupero e di attività produttive che creano lavoro? Come si possono salvare questi borghi se non si progetta la loro vivibilità?
Ma è stato sempre così? Quanti progetti sono stati allestiti dal territorio? In merito, gli Enti territoriali, come il Parco, le Comunità montane, i Consorzi, le Unioni dei Comuni, hanno mai presentato progetti relativamente alle risorse europee, coinvolgendo le popolazioni? Non è forse vero che le popolazioni considerano questi Enti solo come un intralcio?>>.
Seguendo il ragionamento di Gennaro D’Alessio, sulle capacità della classe dirigente, si potrebbe riflettere sul rilancio delle risorse del territorio. Sempre in quell’occasione scrivevo: << Insomma, si potrebbe dar vita ad una filiera del biologico, partendo dai Comuni interni e dai loro borghi, per avviare la trasformazione e la commercializzazione dei prodotti locali, valorizzando le loro proprietà organolettiche legate ai sapori ed al recupero dei “sensi umani” del nostro Paese.
Tutto questo significherebbe anche puntare sulle tradizioni e l’artigianato locale, con progetti di sinergia tra anziani e giovani, con la creazione di una “scuola di formazione” tra maestro ed apprendista; ovviamente occorrerebbe pure dare dei punti di riferimento certi, superando le “barriere burocratiche” e definendo una rete di commercializzazione con il pieno coinvolgimento degli Enti territoriali e non, in modo da non far sentire gli operatori mai soli>>.
Chi vuole approfondire questi concetti e vuole leggere per intero l’aricolo che riguarda il Presidente dei Coltivatori Diretti di Salerno, Ettore Bellelli, oggi presidente Regionale della Coldiretti, può andare sul sito: http://www.giornaleilsud.com/2023/08/11/ ettore-bellelli-e-il-neo-presidente-provinciale-della-coldiretti-di-salerno-potrebbe-essere-il-sasso-nello-stagno-nel-salernitano-per-lagricoltura-ed-il-terziario-potreb/
Purtroppo, come abbiamo scritto più volte, non solo la classe dirigente e parlamentare europea, nazionale e regionale, nel corso degli anni, ha dimostrato limiti ed incapacità, ma anche quella locale non è capace di mettersi insieme ( gli Enti sovracomunali, spesso si riuniscono per discutere dell’effimero) per sfruttare le risorse a disposizione, soprattutto europee, con progetti mirati per la valorizzazione delle risorse locali, per creare sviluppo ed occupazione, ovviamente, non facendo scomparire l’artigianato. Se si pensa alle zone interne, per esempio, quelle del Parco del Cilento Vallo Diano Alburni, si capisce quanti errori sono stati fatti, a partire da una viabilità , con strade drammaticamente disastrate. Va anche detto che, in questi ultimi 30 anni, i veri “padroni e lavoratori” del territorio sono i cinghiali che hanno occupato “militarmente” il territorio. La classe dirigente che cosa ha fatto? Ha discusso, discusso ed ancora discusso, intanto i cinghiali si moltiplicano, quasi all’infinito, mentre i pochi agricoltori abbandonano i loro terreni presi d’assalto proprio da “branchi di cinghiali” che non risparmiano niente, nemmeno l’orto sotto casa o i rifiuti nei centri urbani. E la classe dirigente cosa fa? Continua a discutere, ma fino quando? ….
Nicola Nigro
10-Ettore Bellelli è il neo presidente regionale Coldiretti..